Nel 1913 si svolse uno dei più grandi scioperi del primo Novecento in terra reggiana. L’astensione dal lavoro fu proclamata in difesa delle conquiste sindacali sancite dal contratto di lavoro provinciale dei muratori. Fu un evento che fece molto discutere e che misurò il grado di unità e la determinazione del proletariato reggiano.
I protagonisti furono i muratori e i manovali, sostenuti dalla locale Cooperativa Muratori e dal loro Sindacato Provinciale, che si era costituito appena l’anno precedente e che contava già oltre 2.700 soci.
La posta in gioco si rivelò alquanto significativa e decisiva per la vita di ogni lavoratore. La proposta sindacale di riconfermare per un anno il vecchio contratto di lavoro, siglato nel 1910, fu nettamente respinta dall’associazione degli imprenditori, provocando l’immediata reazione sindacale che, falliti tutti i tentativi di mediazione, si vide costretta a chiamare alla lotta i propri iscritti.
Con il pretesto di voler abolire l’art. 14 del contratto di lavoro in essere, gli imprenditori reggiani, spalleggiati dalla loro Confederazione Nazionale, si posero in realtà l’obiettivo di ridiscutere l’intero contratto e mettere in difficoltà l’attività delle cooperative, che rappresentavano i loro veri e più pericolosi concorrenti e, di conseguenza, spaccare il fronte proletario. La posta in gioco quindi risultò molto alta e tale da affossare l’intero sistema cooperativo provinciale.
Con l’economia italiana uscita a pezzi dalla guerra di Libia e con molte famiglie ridotte alla fame e alla disoccupazione, non fu facile per gli scioperanti affrontare quella lotta e resistere tanto a lungo.
Senza l’aiuto determinante di tutte le cooperative di produzione e lavoro e della Camera del Lavoro, che avevano compreso perfettamente la mossa industriale, gli operai non sarebbero certamente riusciti ad affrontare tanti sacrifici e a uscirne vincitori.
Il Contratto in essere fin dal 1910 aveva regolamentato le modalità da espletare per il mantenimento e il funzionamento della Cassa di Previdenza Provinciale.
In particolare l’art. 14 aveva previsto che i Capi-Maestri, coloro cioè deputati alle assunzioni, dovessero fare una trattenuta sui salari dei loro operai in ragione di un centesimo per ogni ora di lavoro effettivamente svolto e versare l’importo corrispondente alla Cassa di Previdenza e Istruzione, i cui benefici sarebbero stati estesi a tutti i lavoratori, organizzati o no, in regola con la Cassa stessa.
La risposta degli operai e del sindacato fu immediata e decisa. Il 5 maggio 1913 venne proclamato lo sciopero generale dei muratori e dei manovali del comune di Reggio.
Il manifesto appeso in città, dopo aver spiegato la ragione dello sciopero, riportò questo accorato appello rivolto ai muratori degli altri comuni: “Mentre i vostri fratelli di Reggio si preparano a una grande lotta contro la caparbietà padronale, è vostro dovere, se non volete rendervi dei vili, non recarvi a lavorare nel reggiano, se non quando la lotta che sarà aspra e lunga, sarà finita”.
Tale appello, in effetti, fu raccolto dagli interessati e la lotta alla fine si risolse con la piena vittoria dei lavoratori reggiani.
Nello stesso anno 1913 si ebbero altri scioperi di muratori in diverse località e comuni della provincia. II più significativi furono quelli di Correggio in maggio e giugno, di Cavriago in agosto e di Bagnolo a settembre.
Lo scopo di tanta mobilitazione fu il recepimento e l’applicazione anche in quelle realtà del nuovo contratto di lavoro conquistato dai muratori del Comune di Reggio.
L’insegnamento di Camillo Prampolini che “uniti siamo tutto, divisi siamo niente”, ancora una volta si rivelò vincente.
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