Clamorose elezioni reggiane nel 1904, vince la Grande Armata di Menada

menada

Le elezioni amministrative del 26 giugno 1904 segnarono la sconfitta socialista e la vittoria della coalizione denominata “Associazione reggiana per il bene economico”, ironicamente ribattezzata dai socialisti la “Grande armata”. Nata il 9 marzo 1904 come reazione alla politica di municipalizzazione dei servizi civili, perseguita con determinazione dall’amministrazione socialista, vide schierate tutte le forze d’opposizione (liberali conservatori, industriali, reazionari) e i clericali guidati da don Emilio Cottafavi, già fondatore nel 1897 dell’Azione Cattolica e Arciprete della Cattedrale.

Il suo centro propulsore, oltre che dagli industriali e dagli agrari fu rappresentato dai commercianti, dagli artigiani e dai piccoli proprietari, riuniti attorno al commerciante Francesco Bagnoli, che vedevano la loro attività messa in pericolo dalla politica socialista.
Solamente Camillo Prampolini e Carlo Guatteri risultarono eletti in Consiglio comunale. Le stesse elezioni politiche del 15 gennaio 1905 videro la sconfitta di Prampolini e l’elezione alla Camera per soli 84 voti di maggioranza dell’avvocato Giuseppe Spallanzani.


Quel risultato fece molto clamore anche perché a favore di Prampolini si mossero in tanti: Turati, Bissolati, De Amicis. Prampolini commentò la sconfitta su La Giustizia del 22 gennaio, spiegando che in realtà si trattava di una vittoria morale perché attestava l’efficacia della lotta intrapresa dai socialisti contro i privilegi, le rendite, i preti e i loro pregiudizi medievali.

Il vero motore della “Grande Armata” fu però Giuseppe Menada, un industriale dalle mille risorse, la cui opera si rivelò determinante per lo sviluppo economico della città.
Direttore dal 1888 della “SAFRE” (Società Anonima Ferrovie Reggiane) e dal 1899 al 1904 presidente della Camera di Commercio, eletto più volte consigliere comunale, nel 1904, in società con l’imprenditore Righi, aveva aperto una fonderia che rappresentò il nucleo embrionale delle future Officine meccaniche reggiane (OMI).
Considerando poi anche il suo ruolo di Fiduciario della Banca Commerciale Italiana, si comprende come egli fosse, a ragione, considerato l’uomo forte e la guida indiscussa della nuova coalizione.
Uomo intelligente, moderno e aperto a ogni innovazione, seppe riconoscere in Prampolini l’interlocutore migliore per svecchiare la città, favorendo, nel corso degli anni successivi, opere pubbliche coraggiose. Per tutte va ricordata la ferrovia Reggio- Ciano, la prima in Italia costruita e gestita dalle cooperative. Per approfondire l’interessante e complesso rapporto intercorso tra Prampolini e Menada suggerisco la lettura del libro di Mauro Del Bue L’apostolo e il ferroviere.

Fu dunque in questo quadro politico ed economico che, nel 1905, cadde il XX anniversario del giornale socialista reggiano La Giustizia. Come usanza gli anniversari del giornale venivano festeggiati con discorsi, feste e pranzi, che avevano il duplice scopo di cementare la conoscenza e la collaborazione fra i compagni e di raccogliere fondi. Famoso rimase quello del 1901, festeggiato con un grande pranzo nella Sala del Politeama Ariosto, di cui ci è pervenuta una storica fotografia.
In occasione del XX anniversario, La Giustizia del 5 febbraio, anche con lo scopo di rincuorare i compagni e ridare slancio all’attività di partito, uscì con una tiratura di oltre 6.000 copie arricchita da un supplemento che in prima pagina portava il saluto di uno dei grandi estimatori di Prampolini: Edmondo De Amicis.

Il suo messaggio volle anche essere un incoraggiamento rivolto ai compagni reggiani a continuare, nonostante la cocente sconfitta subita, la lotta intrapresa sotto la guida di Prampolini.
“I giornali avversari annunziarono la caduta del Prampolini. Ma che! Il Prampolini non è caduto. Egli rimane ritto nel Partito socialista, ritto in faccia agli avversari, più alto di prima nella nostra devozione e nel nostro amore per effetto appunto della sfortuna immeritata, la quale è un dolore per noi e un danno per la nostra causa, ma non una gloria per i suoi vincitori, non potendo gloriarsi nessuno d’aver tolto al Parlamento un uomo che lo onorava e che del socialismo vi portava quel grido umano e generoso, a cui non v’è cuore onesto che resti chiuso.

Per il proletariato italiano il suo seggio nel Parlamento rimane vuoto finché Egli vi ritornerà. Egli non è caduto e resta in disparte, immobile e sereno, per lasciar passare l’errore e l’ingratitudine”.
Torino 28 gennaio 1905.

A cura invece della redazione, probabilmente del direttore Zibordi, venne pubblicato questo commento:
“Vent’anni dopo. Ora, come allora, gli sfruttati- invocanti giustizia- hanno bisogno della difesa di questo modesto foglio di carta, attorno a cui si sono stretti con crescente entusiasmo per combattere le loro battaglie.

Ma della strada se n’è fatta; e questa nostra Reggio- dominata vent’anni fa dalle vecchie camarille nobiliari e affaristiche- è diventata per opera costante di Camillo Prampolini e per la fede ch’egli ha saputo trasfondere nelle masse, il centro da cui irradia una nuova vita e a cui giungono gli sguardi delle folle d’Italia”.




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