Il comunista ucciso dai comunisti (3)

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Piano 14.25: sembra il nome in codice di un’operazione da spy story ambientata in piena Guerra fredda. E infatti siamo in piena Guerra fredda e questo è un nome in codice, ma più che a una spy story – anche se le spie, a partire da quelle della Stasi, c’entrano, eccome – ci troviamo di fronte ad una brutta storia, una gran brutta storia.

Perché lo Staatsplanthema 14.25 altro non è che il più massiccio, metodico, disinvolto ed efficiente piano di doping di Stato mai attuato da una Nazione nei confronti del proprio popolo, a partire dagli adolescenti, se non dai bambini (bambine, in particolare).

Le medaglie d’oro devono certificare la supremazia del comunismo, le virtù di un sistema politico, l’emancipazione delle donne dell’Est. Mascherando, al contempo, un rigido e spietato stato di polizia e un’economia traballante quanto le Trabant, l’autarchica auto di massa commissionata negli anni Cinquanta alla VEB Sachsenring Automobilwerk Zwickau.

A far sì che in soli vent’anni olimpici – dai Giochi di Città del Messico 1968 a quelli di Seul 1988 – nonostante una popolazione di poco più di 16 milioni di abitanti, la DDR arrivi a conquistare 499 medaglie, ci pensa Manfred Ewald (nella foto).

Figlio di un sarto, nato nel 1926 in un paesino della Pomerania – nell’allora Germania di Weimar – nonostante le giovanili e forse inevitabili frequentazioni alla Gioventù Hitleriana ed al Partito nazista, dopo la seconda guerra mondiale, alla divisione della Germania, Ewald si unisce al Partito comunista. Negli anni Sessanta, nemmeno trentenne, diviene membro del comitato centrale della DDR, assumendo la carica di ministro dello Sport dal 1961 al 1988 e di capo del Comitato olimpico della Germania Est dal 1973 fino al crollo.

Come specchietto per le allodole, Manfred Ewald usa la Costituzione della Repubblica Democratica Tedesca – che proclama, prima al mondo, il diritto dei cittadini all’esercizio della cultura fisica – e una diffusione capillare dello sport popolare, anche attraverso manifestazioni come le Spartachiadi, una evoluzione ben più raffinata dei nostri Giochi della gioventù, create nel 1965 e in grado di coinvolgere il 90% dei bambini e dei ragazzi delle scuole dell’obbligo, partendo addirittura dall’asilo.

In realtà, Ewald pianifica i trionfi olimpici della DDR tra le provette, con il fondamentale contributo di Manfred Höppner, vicedirettore del Laboratorio centrale del doping di Kreischa, vicino Dresda. Un lavoro sistematico di doping forzato di massa, meticolosamente pianificato, che tra le Olimpiadi di Monaco 72 e di Montreal 76 verrà codificato appunto nel Staatsplanthema 14.25.

La gallina dalle… medaglie d’oro è il Chlorodehydromethyltestosterone: formula chimica C20H27ClO2, nome commerciale Oral-Turinabol. E’ un potentissimo steroide anabolizzante – studiato all’Istituto per la cultura fisica e lo sport di Lipsia, il famigerato Fks – e prodotto (fino a 5 tonnellate all’anno) dall’azienda di Stato Jenapharm, il cui fatturato alla fine degli anni Ottanta arriverà a superare i 250 milioni di marchi, circa 150 milioni di euro l’anno. Il Laboratorio centrale del doping di Kreischa è invece incaricato di verificare che non resti traccia dello steroide alla vigilia di competizioni ufficiali (basta interromperne la somministrazione alcuni giorni prima), bloccando eventuali atleti positivi con la scusa di improvvisi malanni fisici e riuscendo, così, ad evitare squalifiche. La spietata Stasi, la polizia segreta, provvede a far sì che tutto avvenga senza problemi e, soprattutto, che nulla trapeli all’esterno. Come nulla, del resto, sfugge alla Stasi, che controlla gli atleti 24 ore su 24, cronometrandone anche i rapporti sessuali. “L’amplesso è avvenuto tra le 20 e le 20.07” (un tempo non propriamente da podio olimpico…) si legge nel libro Meine Jahre zwischen Pflicht und Kür – I miei anni tra il dovere e la scelta di Katarina Witt, campionessa olimpica di pattinaggio a Sarajevo ’84 e Calgary ’88, citando i documenti della Stasi venuti alla luce dopo la caduta del Muro.

I risultati del Piano 14.25 non tardano ad arrivare. Dalle 25 medaglie (9 d’oro) di Città del Messico 1968, la DDR passa a 66 medaglie (20 d’oro) a Monaco 1972, 90 (40) a Montreal 1976, 116 (47) a Mosca 1980 (complice anche il boicottaggio per l’invasione sovietica dell’Afghanistan), salendo dal quinto al secondo posto nel medagliere. Alle Olimpiadi invernali, identica escalation: dalle sole 5 medaglie (1 oro e undicesimo posto) di Grenoble 1968, si passa a 14 (Sapporo), 19 (Innsbruck) e 23 (Lake Placid) fino al primo posto nel medagliere di Sarajevo 1984 con 9 ori, 9 argenti e 6 bronzi. Nessuna medaglia arriva dallo sci alpino, ben 11 dal pattinaggio di velocità (e un oro, in quello di figura, appunto dalla bellissima Katarina Witt).

Hajo Seppelt, famoso giornalista tedesco, intervistato da La storia siamo noi – il bellissimo programma di Rai Educational – userà queste parole: “Il doping era utilizzato in molti paesi del mondo, ma nella DDR il sistema era assolutamente perfetto; la migliore organizzazione in tutto il mondo negli ultimi vent’anni. […] Era un sistema concepito in maniera che gli atleti venissero sistematicamente dopati senza che nessuno sapesse nulla: il segreto assoluto a tutti i livelli, dal più piccolo al più grande. Si può dire che in Germania è avvenuta una cospirazione sportiva a fini politici. Un sistema a piramide: le decisioni erano politiche e venivano date disposizioni molto accurate ai medici sportivi, agli allenatori. Tutto questo perché le atlete dovevano assolutamente vincere, era questo l’ordine che arrivava dall’alto. Non trapelava nulla all’esterno: agli atleti veniva detto che si somministravano loro delle vitamine mentre invece, in realtà, venivano dopati”.

Ma c’è l’altra faccia di molte di queste medaglie. Problemi psichici e tentativi di suicidio, crepe nella struttura ossea, tumori, deformazioni, alterazioni metaboliche, calcificazioni cardiache, sterilità, aborti o figli nati con malformazioni, blocchi renali, danni epatici irreversibili, cambi di sesso.

Si calcola che, in quegli anni, le vittime del doping di Stato della DDR siano state tra le dieci e le quindicimila: per due terzi donne, sulle quali il Turinabol produce effetti maggiori. Tra i tanti documenti emersi nel corso dei due anni del Berliner Dopingprozess (e riportati nel dettagliato “Medaglie sintetitiche” di Giuseppe Turdo) – il processo che nel luglio 2000 porterà alla condanna di Ewald e Höppner – ce n’è uno, datato 1977, inviato dallo stesso Höppner alla Stasi in cui si legge: “Dall’esperienza maturata finora si può concludere che le donne ricevono certamente un maggior vantaggio nelle loro prestazioni sportive dal trattamento con ormoni anabolizzanti. Da notare che l’effetto è particolarmente elevato negli atleti juniores”. Anni e anni di esperimenti e test, del resto, hanno permesso una minuziosa verifica scientifica dei vantaggi prodotti dal doping: nel giro di quattro anni – certifica ancora il rapporto Hoppner – un lanciatore del peso può guadagnare tra i 2,5 e i 4 metri, una lanciatrice tra i 4,5 e i 5 metri; nel disco l’uomo può migliorare di 10-12 metri, la donna tra gli 11 e i 20 metri. Grazie al Turinabol, un’atleta può correre più veloce di 4-5 secondi i 400 metri, di 5-10 secondi gli 800, di 7-10 secondi i 1.500 metri. Sarà sicuramente un caso (Marita Koch, ad esempio, ha sempre negato di aver fatto ricorso a sostanze dopanti), ma i due record mondiali più longevi dell’atletica femminile appartengono proprio a due atlete della Germania dell’Est e sono stati ottenuti proprio nei 400 metri (Marita Koch, 47”60 nel 1985) e nel lancio del disco (Gabriele Reinsch, 76,80 metri nel 1988).

Al di là di questi due record – tuttora riconosciuti dalla IAAF e, dunque, non riconducibili al doping – è comunque sulle giovani atlete che il doping di Stato della DDR si accanisce maggiormente. Otto, forse diecimila donne tra cui tantissime minorenni, virilizzate chimicamente a loro insaputa con pillole e pillole – “ce le davano come fossero caramelle…” – di questo tremendo steroide anabolizzante androginico. Bambine e adolescenti costrette a convivere con “l’ingrossamento, dolorosissimo peraltro, del clitoride, che poteva avere uno sviluppo innaturale in tempi rapidissimi”, ricorda una di loro. Poi ancora con una voce che, nel 30% dei casi, diventa più cavernosa, con barbe e baffi che crescono con la stessa velocità con cui diminuisce il seno. “Quando mi scomparve quasi del tutto pensai: guarda come sto lavorando bene in palestra”, racconta un’altra vittima.

Drammatici effetti che si sono protratti ben oltre l’attività sportiva, rovinando la vita anche ad altre persone: come i tanti figli di ex atlete dopate nati con disfunzioni, perché a causa del restringimento dell’utero il feto poteva più facilmente mal sviluppare gli arti. Nel 2016, la Società tedesca a sostegno delle vittime del doping fondata nel 1999 per difendere e offrire assistenza alle vittime di doping della Germania Est, ha condotto un questionario tra 140 delle sue iscritte di sesso femminile. Tra queste, il 9% ha avuto il cancro al seno, il 55% ha sofferto di problemi ginecologici e il 14% ha avuto aborti spontanei.

L’altra faccia di tutte quelle medaglie ha tanti volti. Quelli di Ines Geipel, Heidi-Andreas Krieger o di Gerd Bonk, ad esempio.

Ma queste sono altre storie…

(3, continua)

La prima puntata Benito, il comunista ucciso dai comunisti

La seconda puntata Benito, il comunista ucciso dai comunisti (2)




Ci sono 3 commenti

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  1. FM

    Grazie per la segnalazione, ho già provveduto a correggere le due sviste. Che non mi pare cambino granché al senso della storia, ma che (in particolare per quanto riguarda il record di Marita Koch), era giusto rettificare. Poi francamente mi auguro che la sua attenzione si sia soffermata anche su altro…

  2. paolo

    In compenso il record degli 800 é ancora credo della Kratochvilova….che pur non essendo della DDR dava l’idea di non avere pure lei un clitoride così minuscolo.

  3. marcov2

    L’articolo contiene un errore abbastanza grossolano. Il record di Marita Koch è sui 400 non sugli 800, bastava rifletterci un attimo, altro che doping neanche col motorino si fanno ottocento metri in meno di cinquanta secondi.
    Altra cosa strana “in soli vent’anni olimpici – dai Giochi estivi di Città del Messico 1968 a quelli invernali di Calgary 1988 ” ma l’ultima olimpiade a cui partecipò la Repubblica Democratica Tedesca fu quella di Seul (o Seoul) successiva a quella invernale. Forse non si è capito lo specchietto di wikipedia?


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