Editoriale. La marcia e la pace

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Due brevi osservazioni sulla cosiddetta “marcia per la pace” avvenuta sabato pomeriggio a Reggio Emilia. La prima: numericamente, la manifestazione si è risolta in un mezzo flop. Malgrado i tentativi di vari esponenti pidini e sindacali di usare effetti di tecnica fotografica per rendere un’immagine più densa, la partecipazione alla marcia si è fermata ad alcune centinaia di persone. Piazza Prampolini era colma solo a ridosso del municipio. Ciò è accaduto nonostante l’adesione all’appello genericamente pacifista al quale avevano aderito ben centocinquanta tra associazioni e sigle vagamente intese. Dove fossero tali soggetti non è dato sapere. Perfino la Cgil, formalmente tra gli organizzatori, è praticamente rimasta a casa. Solo, al gran completo, il ceto politico locale. Sindaci, assessori, consiglieri regionali: solita parata, soliti nomi, soliti stucchevoli e sostanzialmente ignorati post su Instagram.

Seconda osservazione, più grave: la piattaforma della marcia è stata presentata con margini di ambiguità che ne hanno reso poco comprensibile il senso. Da qualcuno è stata interpretata come una richiesta di “cessate il fuoco” pro Palestina, in sostanza uno stop della campagna militare dell’esercito israeliano, senza tuttavia definire se il concetto generalmente condiviso sintetizzato in “due popoli, due stati” possa essere esteso ad Hamas la cui esistenza si fonda sull’eliminazione degli ebrei dal Giordano al Mediterraneo. Da altri, la marcia per la pace è stata intesa come un rimando per così dire ontologico verso un mondo finalmente libero dalla guerra. Chi potrebbe non essere d’accordo? E allora, perché non chiedersi come mai, dinanzi a un simile imperativo categorico, la larghissima parte della cittadinanza se ne sta alla larga dal rito peraltro un po’ consunto della piazza? Esiste, ed è evidente a chiunque che attivi qualche circuito cerebrale, che ciò che si intende come “pace” si costituisce entro forme psichiche e modalità comportamentali differenti per ciascuno, non confondibili, non assimilabili. Esistono forme di sedicente pacifismo che si nutrono di odio e di discriminazione verso l’altro. Ciò che definiamo pace è un processo che inizia invariabilmente da un atteggiamento interiore. Non si può parlare di pace se non si è pacificati dentro di sé.

Se vuoi che un giorno avvenga la pace nel mondo, devi innanzitutto imparare a fare pace con te stesso. Essere in pace significa imparare a essere pace. A praticare e condividere rispetto e fratellanza, sciogliere i propri conflitti interiori, conferire alla propria presenza nel mondo un’autenticità etica di persona compiutamente formata. Senza una solida formazione etica la vera politica si sbriciola in mere asfittiche logiche di conquista del potere. È ciò che vediamo oggi in Italia, e Reggio Emilia non fa difetto.




Ci sono 2 commenti

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  1. paolo

    E comunque l’essere in pochi a sfilare rende agevole il compito a chi si appresta a stilare liste di proscrizione, qua andiamo oltre il disprezzo.

  2. paolo

    Io ho partecipato semplicemente per esprimere disprezzo totale nei confronti di chi promuove l’utilizzo delle armi, di chi le commercializza, le produce e le utilizza. Ma il disprezzo è totale anche nei confronti di chi parla di guerre etiche o peggio giuste con buoni da una parte e cattivi dall’altra.


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