Prampolini e Zibordi tra amicizia e politica

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Su la rivista milanese Critica Sociale del 1° agosto 1946, il giornalista e storico Renato Marmiroli pubblicò un interessante articolo nel quale prese in esame quanto l’amicizia e la sintonia politica esistente tra Camillo Prampolini e Giovanni Zibordi abbia pesato sulle fortune del socialismo reggiano di inizio secolo. Raramente, infatti, è possibile riscontare, specie in campo politico, una corrispondenza di sensibilità e una forza di volontà realizzatrice così forte e duratura nel tempo.

Marmiroli parlò di “comunione ideale di due libertà e di due fedeltà eguali e indomabili, di due spiriti dissimili e pur concordi”. I due si conoscevano e si stimavano già dal 1901, per l’attività svolta rispettivamente a Mantova e a Reggio Emilia. Zibordi allora dirigeva il giornale socialista mantovano “La nuova terra” e Prampolini “La Giustizia” settimanale.

Quando, nel gennaio 1904, si decise di dar vita all’edizione quotidiana de “La Giustizia”, Prampolini non ebbe dubbi a offrire a Zibordi la direzione del giornale. La profonda gratitudine per essere stato chiamato a dirigere il giornale del “principale laboratorio di vita socialista esistente”, e il timore di fallire nell’impresa, che lo avrebbe visto lavorare al fianco di quel “mostro sacro” di Prampolini, Zibordi li affidò alla lettera d’accettazione inviata ai compagni di Reggio Emilia.

Più giovane di undici anni, Zibordi nutrì sempre per Prampolini un affetto fatto d’ammirazione e di riverenza, mentre Prampolini provò per lui una stima e una considerazione, che con il passare degli anni divenne sempre più intima e calorosa.

Pur avendo fatto studi diversi, Prampolini era avvocato, mentre Zibordi professore di lettere e allievo Giosué Carducci, i due coltivarono con abnegazione e indomabile volontà la stessa vocazione giornalistica al servizio della causa socialista. Entrambi direttori dello stesso giornale nelle due diverse edizioni, quotidiana e settimanale, seppero indirizzare il loro messaggio nella stessa direzione, senza incorrere in sovrapposizioni e contraddizioni. Per Marmiroli “I loro temperamenti così diversi si completarono nella fatica quotidiana”.
In fondò la stessa cosa, pur nelle mutate condizioni, caratterizzò il rapporto personale e politico di Turati e Treves.

Con l’avvento del fascismo furono entrambi esuli a Milano, dove per sopravvivere Zibordi si diede all’insegnamento privato e alla scrittura di libri e saggi e Prampolini si adattò, senza mai lamentarsi, a svolgere un modesto lavoro di contabilità in un piccolo albergo e poi presso il negozio del compagno Nino Mazzoni.

Al loro lavoro, frutto di una intesa rara da riscontrare, alimentato e rafforzato dall’apporto di altri importanti dirigenti quali Roveri, Vergnanini, Storchi, Bellelli, Sichel, Giglioli e molti altri, si deve dunque gran parte dello sviluppo del PSI reggiano.
Prampolini morì il 30 luglio 1930 a Milano dopo atroci sofferenze, Zibordi morì tredici anni dopo, nello stesso giorno del mese di luglio a Bergamo, dove era sfollato, non prima che i medici cercassero di strapparlo alla morte mutilandolo di una parte di una gamba.

A completamento di quanto detto, risulta interessante riportare la lettera che Zibordi inviò alla figlia di Prampolini il 27 aprile 1932.

“…Comprendo la gioia che le dà il sapere vivo nella mente e nel cuore di tanti il Papà; comprendo anche la preoccupazione sua che tante gemme ch’Egli lasciò sparse, e il nome stesso possa cadere in oblio.
Ma fermamente penso che ciò accadrà, per Lui, meno che per ogni altro, pur nell’inevitabile destino che in genere travolge tutte le cose, e in specie, per particolari eventi (leggi fascismo), può oggi rompere la catena del ricordo fra una generazione e l’altra.

I soli politici, i soli organizzatori e creatori di cose materiali possono passare. Ma i grandi educatori, i maestri e diffusori di valori morali, restano, e risorgono anche da passeggeri oblii, perché quei valori sono eterni, sempre necessari, vitali e pieni di capacità di risorgere, in quanto sono alla base della vita, sono insuperabili dall’umanità. Per parte mia, vorrei vivere solo per poter tener vivo quella memoria”. G. Zibordi