Il secolo di Henry Kissinger contiene troppi elementi meritevoli di analisi storica per permettere valutazioni sintetiche e frettolosi giudizi. È venuto a mancare un gigante della politica e delle relazioni internazionali del Novecento, forse addirittura il più influente nella seconda metà del secolo. Un Bismarck contemporaneo, si è detto, la cui figura rimarrà nella grande storia come un Talleyrand o un Machiavelli.
Per queste ragioni, la spazzatura social che ha investito da stamani la memoria dell’uomo che aprì la strada ai rapporti tra Stati Uniti e Cina, e che favorì l’apertura di relazioni di distensione con l’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda, non può essere offuscata da accuse generiche frutto di ignoranza e ideologie. Kissinger resse informalmente la politica imperiale americana mediante operazioni moralmente inaccettabili quali il golpe cileno nel ‘73 e il bombardamento della Cambogia nel dopo-Vietnam, solo per citare i fatti accertati più rilevanti. Ma attribuire a lui, secondo la solita semplificazione complottista, la paternità del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro in chiave ostile al compromesso storico in Italia tra Dc e Pci – politica certamente non gradita alla Casa Bianca, ma priva di qualsiasi minima concreta possibile conferma probatoria come dimostrato da almeno sei processi in sede giudiziaria – appartiene a quella subcultura della cancel culture con cui taluno vorrebbe improntare la consapevolezza delle generazioni future a mere e squallide finalità politiche.
Moro fu rapito e assassinato a Roma dalle Brigate rosse, in via Fani due su quattro tra i killer che sterminarono la scorta erano reggiani (Bonisoli e Gallinari). Che i nostri concittadini comunisti rivoluzionari buttatisi in clandestinità per abbattere lo Stato democratico prendessero ordini dal cattivissimo garante del capitalismo massonico Kissinger, più che una semplificazione appare una barzelletta. Che sarebbe peraltro utile contestare nelle sedi opportune con una seria e scientifica ricerca storica sulla vicenda brigatista reggiana, tema tuttora tabù per i sepolcri imbiancati della locale storiografia.
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