Probabilmente ci vorranno alcuni giorni – forse una decina, due settimane – per avere in Italia Filippo Turetta, arrestato in Germania per l’omicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Durante l’udienza di convalida dell’arresto il ragazzo ha dato il consenso alla consegna rispetto al mandato di arresto europeo che era stato diramato dall’autorità giudiziaria italiana ed ora si attende che – al massimo nel giro di un paio di giorni – l’Oberlandesgericht di Naumburg si esprima sui tempi per l’estradizione di Filippo Turetta in Italia. Per ora il più alto tribunale di giurisdizione ordinaria della Sassonia-Anhalt non ha rilasciato commenti o ipotizzato tempistiche, sottolineando però che il ventiduenne non è stato ancora interrogato, perché bisogna prima nominare un difensore. Per il ministro degli Esteri Antonio Tajani grazie alla procedura dell’arresto europeo il ragazzo “potrà essere affidato in pochi giorni alle forze dell’ordine e alla giustizia italiana per subire un giusto processo”. “Per portarlo in Italia – dice invece l’avvocato Emanuele Compagno – potrebbero servire una quindicina di giorni”, mentre il ministro della Giustizia Carlo Nordio parla di “tempi che in questi casi sono rapidi” e il procuratore di Venezia Bruno Cerchi si sbilancia nell’ipotizzare “una decina di giorni”.
I tempi tecnici previsti dalle procedure in genere sono di qualche settimana. L’Italia ha già completato la traduzione in tedesco del mandato di cattura internazionale e l’ha inviata alle autorità tedesche. Quando tutto sarà pronto, un team della polizia giudiziaria italiana andrà in Germania a prenderà in consegna il 22enne per trasferirlo in Italia e metterlo a disposizione dell’autorità giudiziaria.
Intanto, dopo il ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, il capo d’imputazione a carico di Filippo Turetta è cambiato da tentato omicidio a sequestro di persona e omicidio volontario aggravato dal vincolo affettivo. “Ma si tratta di una imputazione provvisoria perché dobbiamo fare tutti gli accertamenti tecnici sui luoghi, sui reperti, sulla macchina, dobbiamo interrogare il ragazzo e solo a quel punto si potrà fare un’impostazione più completa”, ha spiegato il procuratore capo di Venezia Bruno Cherchi.
Avevamo tutti sperato in questi giorni che Giulia fosse viva. Purtroppo le nostre più grandi paure si sono avverate. Uccisa. Provo una tristezza infinita nel vedere le fotografie sorridenti di questa giovane ragazza e, insieme alla tristezza, una grande rabbia. Ringrazio le Forze…
— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) November 19, 2023
Nel frattempo Filippo Turetta “è stato condotto presso il centro detentivo della città di Halle”. Lo ha comunicato la polizia della città tedesca aggiornando il primo comunicato del pomeriggio.
Filippo Turetta indiziato di aver ucciso l’ex fidanzata di Giulia Cecchettin, come comunica la polizia di Halle an der Saale, città del Bundesland Sachsen-Anhalt, domenica pomeriggio “verso le ore 17 è stato portato davanti al giudice del Tribunale di Halle che ha deciso di arrestare il cittadino italiano”.
GIULIA E I LIMITI DELLA LEGGE
L’ondata di violenza sulle donne e di femminicidi non si fermerà con una legge. Capirlo, ammetterlo e agire di conseguenza è il primo doveroso segno di rispetto nei confronti delle donne vittime di violenza e delle famiglie in lutto. Il compito a cui…— Carlo Calenda (@CarloCalenda) November 20, 2023
Ora lo studente veneto che aveva fatto perdere le proprie tracce dalla tarda serata di sabato 11 novembre, per poi essere immortalato da alcune telecamere sia nel Bellunese che in Austria, si trova rinchiuso nel carcere della città tedesca. Turetta, dopo una fuga disperata di mille chilometri, era stato fermato l’altra notte a Bad Duerrenberg da una pattuglia, allertata da alcuni automobilisti in transito: era a bordo della sua Fiat Grande Punto nera nella corsia d’emergenza dell’autostrada A9, senza luci e senza benzina.
Monica Guerritore. Una grande attrice. Una bellissima donna. Ed anche una grande scrittrice. Ho appena terminato di leggere un suo libro di qualche anno fa, dal titolo “Quel che so di lei” . In sostanza, è la storia di un celebre femminicidio avvenuto ai primi del ‘900, quello di Giulia Trigona di Sant’Elia per mano del suo amante. Che lei voleva lasciare. A coltellate. Proprio come quello dell’altra Giulia, la sventurata ragazza di oggi. Monica Guerritore ne ripercorre con delicatezza e sapienza le tappe, illustrando e tratteggiando nel contempo altre grandi figure di donna, siano esse personaggi di drammi teatrali da lei anche interpretati quali “La signorina Giulia” di Strindberg, “Madame Bovary” di Flaubert, o di grandi giornaliste quali Oriana Fallaci. Ma questo libro è imperdibile perchè sembra quasi presagire il femminicidio della povera Giulia Cecchettin nel descrivere gli stati d’animo, i sentimenti, i dubbi ed i tormenti che proviamo – ancora – noi donne, tutte, quando viviamo un rapporto d’amore con uomini possessivi e che non si rassegnano alla perdita. E che suggerisce alle donne che ne sono protagoniste e poi vittime quasi destinate, a non accordare -MAI – a questi “partners”, l’ultimo appuntamento. Che in genere è fatale. Un libro che- se qualcuno leggerà questo mio post – invito, uomini compresi, a leggere oppure a rileggere, perchè induce a riflettere sulla gabbia emotiva in cui siamo ancora imprigionate a causa di un’educazione che tuttora riflette i vecchi schemi, retaggio ormai di un passato di cui gli uomini non vogliono accettare il cambiamento, e su quanto diverso sia l’amore che proviene da un uomo “accudente”, sicuro, accogliente da quello che c’ingabbia in una relazione tossica. Quell’uomo che purtroppo non è dato a tutte d’incontrare, ma che ci mette in guardia, cogliendone le differenze, circa i segnali derivanti da una relazione da cui possiamo e dobbiamo fuggire. Lo dobbiamo a Giulia, e soprattutto a noi stesse.
La tragica fine di Giulia sta mostrando, man mano che si raccolgono elementi sul suo omicidio, un problema a doppia faccia. Da una parte, c’è l’incapacità degli uomini – purtroppo appartenenti anche all’ultima generazione – di accettare completamente l’emancipazione femminile senza che in loro s’ingeneri un processo autodistruttivo fatto di rabbia e frustrazione qualora la compagna si dimostri più brillante di loro nella professione o, come in questo caso, negli studi. Dall’altra parte c’è l’analfabetismo affettivo che caratterizza la nostra epoca dato anche l’uso eccessivo e smodato che si fa dei social e di qualunque altro mezzo di comunicazione ovviando in tal modo all’uso delle parole che E’, DEVE ESSERE, INDISPENSABILE. Ne deriva una generazione che non comunica più con i genitori, con gli amici, con gli insegnanti e particolarmente se esiste un disagio interiore. Non voglio usare il solito refrain “è tutta colpa della società”, no. Ma in gran parte sì. Cosa può insegnare, di buono, una società che non riconosce, non vede, trascura quelli che vengono qualificati “perdenti” soltanto perchè magari faticano più degli altri negli studi, non usano la furbizia e la mancanza di scrupoli per affermarsi? Cosa può insegnare, di buono, una società dove la scuola ha eliminato i voti ed il profitto personale degli studenti viene surclassato dalle proteste dei genitori se putacaso il proprio figlio riceve un brutto voto dall’insegnante che deve giudicarlo? Chi si accorge di un ragazzo che, magari fin da piccolo, oppure a cominciare da una certa età si chiude sempre più in se stesso, vive la separazione dal partner come un tremendo schiaffo alla propria dignità, fa della compagna o del compagno che l’ha lasciato un’ossessione tale da scivolare sempre più nella spirale della depressione intesa non già come stato d’animo, bensì come malattia psichiatrica? Non sto certo scagionando Filippo, che finora ha agito come uno spietato e lucido assassino. E neppure sto escludendo, anche se non è il mio mestiere, che potrebbe colpire di nuovo qualora un altro rapporto, con una ragazza diversa, scatenasse, in un ambito più o meno simile, la stessa brutalità che lo ha spinto a sopprimere Giulia. Ma un ragazzo/a sano reagisce alle delusioni. Cerca un’altra ragazza, e superata la delusione, esce con altri amici. Non si trasforma in uno stalker e poi in un assassino. Per tali motivi sono indotta a ritenere che costui sia una persona disturbata, comunque la si voglia pensare. E come lui sono disturbati moltissimi uomini che schiaffeggiano o malmenano le proprie donne, le mortificano, le svalutano. Fino ad arrivare al femminicidio. Per questo siamo chiamati tutti alla prudenza, ma soprattutto a prestare maggiore attenzione ai comportamenti dei nostri figli o degli uomini con cui ci rapportiamo, non sottovalutando o rimandando il problema, ma affrontandolo con decisione e con determinazione.
Io non credo che uno possa trasformarsi all’improvviso in un killer spietato, lucido e freddo a dispetto della faccetta da bravo ragazzo e dei commenti unanimi sulla sua presunta “innocuità”. Credo piuttosto che ad un certo punto l’assassino di Giulia abbia cominciato a manifestare i segnali di una personalità disturbata e che lei, per arrivare alla decisione di lasciarlo, aveva infatti colto. Il vero problema consiste, tuttavia, non solo nella mancata accettazione da parte di molti uomini dell’emancipazione femminile, ma soprattutto nel fatto che per decenni si è parlato unicamente e anche troppo, dell’educazione sessuale dei giovani trascurando invece ciò che è più basilare: l’EDUCAZIONE SENTIMENTALE. Educazione sentimentale non significa insegnare come si va a letto insieme o come evitare una gravidanza. Significa RISPETTO verso il partner, condivisione, tenerezza. Impressionante è oggi il numero delle donne uccise, ma anche maltrattate, che subiscono violenza fisiche ma anche aggressioni verbali. Perchè non denunciano? ma perchè tali violenze avvengono perlopiù nel contesto di un rapporto sentimentale malato dove la donna spera quasi sempre di cambiare in meglio il partner, che ogni volta ritorna da lei “pentito”, e anche nell’ambito familiare, dove la donna subisce pure aggressioni verbali che tendono a deprezzarla, sminuirla, svilirla. Il film di Paola Cortellesi è un’importantissima denuncia in tal senso. Cosa fare, allora? io credo che padri, madri, sorelle, fratelli, amici ma anche i medici e perfino i sacerdoti che ascoltano i lamenti o i racconti di queste donne, dovrebbero denunciare. Non si tratta di violare il segreto professionale o quello del confessionale. Si tratta di AIUTARE le donne in quanto soggetti più deboli sia fisicamente che psicologicamente. Anche le donne più emancipate non hanno del tutto abbandonato lo spirito della crocerossina e spesso sappiamo come finiscono queste denunce: nel dimenticatoio. Allora: il contesto familiare è indicativo nel caso di una personalità disturbata o comunque problematica, ma anche tutto il contesto parentale e non, come i vicini di casa, che ruotano attorno alla vittima. Si cominci dal pronto soccorso, dove magari una donna si reca per medicare ferite che risultano “dubbie”. Ed un appello lo rivolgo anche agli psicologi, agli psichiatri, ai sacerdoti che vengono a conoscenza dei maltrattamenti subìti e troppo spesso sopportati. Inutile inasprire le pene affibbiando l’ergastolo agli aguzzini. Sappiamo molto bene, tutti, a quanti venga concesso uno sconto della pena magari per buona condotta, senza invece buttare via la chiave come dovuto.