Di quella mattina ricordo il colore dell’aria che usciva dal televisore di mia madre nelle prime immagini, sotto mezzogiorno. Una luce solare potente ma polverosa, quasi oscurata, sporca. Ed era come se anche tu la respirassi, quell’aria ammalata, densa di ogni materia, il vetro, il calcestruzzo, brandelli di corpi. E gli autobus, quei mezzi che correvano a fatica in quelle ore di sudore e sangue, colmi di morenti, feriti e disperati.
La strage alla stazione fu l’attentato più grave nella storia del terrorismo del secondo dopoguerra. Ottantacinque morti, diretti verso le vacanze, o al ritorno a casa. Eravamo in quegli anni già purtroppo abituati alle tragedie più assurde. In Italia la strategia della tensione e la lotta armata avevano progressivamente alzato l’asticella dell’orrore.
La matrice fascista di quell’apocalisse è oggi giudiziariamente accertata. Non è completa, invece, la verità sui mandanti e sulle trame che vi condussero. Forse la storia riuscirà a ritrovare gli atti e le infami ragioni di tanta follia. Per ora, lo scrivo alla mia generazione, non dimenticate di spiegare ai vostri figli cosa rappresenti quel taglio di vetro e quel buco nel vecchio pavimento, nella sala d’aspetto di seconda classe alla stazione di Bologna. La memoria va coltivata, sulle rimozioni si alimentano e si lasciano crescere altri futuri conflitti.
Han fat bein…
Ho ben nitido il ricordo di ciò che accadde, avevo 16 anni e per vari motivi era , dopo quella di Reggio era la mia Stazione, spiace dirlo ma alla luce di quanto sta accadendo la memoria delle nuove generazioni non è stata coltivata abbastanza .