Febbraio 1933. L’inverno della letteratura

Uwe Wittstock
7.3

È un libro che dà i brividi.

«Tutto è accaduto a una velocità vertiginosa: dal momento in cui Hitler si è insediato al governo al Decreto per la protezione del Popolo e dello Stato, che ha abolito tutti i diritti civili fondamentali, sono trascorse quattro settimane e due giorni. È stato sufficiente quest’unico mese per trasformare uno Stato di diritto in un regime dittatoriale senza scrupoli».

Il 30 gennaio 1933, Hitler era stato nominato Cancelliere del Reich. Il 5 marzo, giorno delle elezioni politiche, la Nsdap (i nazisti) ottengono il 43,9% dei voti e i loro alleati, il Fronte di lotta tedesco-nazionale nero-bianco-rosso, l’8%. Hanno vinto. Un risultato ottenuto in un clima di violenza diffusa, che l’autore racconta attraverso la crescente paura e disperazione e incredulità di scrittori, giornalisti, artisti, impresari, editori oppositori del nazismo (con “l’aggravante” per alcuni di essere anche ebrei), protagonisti del ben documentato saggio. Con un’avvertenza, che Wittstock annota nella Postfazione: «Naturalmente, sono presenti contraddizioni e ambiguità che riguardano il periodo qui raccontato … Alcuni hanno messo per iscritto i loro ricordi solo dopo molti anni o decenni, confondendo qualche data storicamente verificabile», che l’autore ha corretto. «Le testimonianze più vivide e convincenti – prosegue Wittstock – mi sono sembrate i diari, le annotazioni o le lettere scritte contemporaneamente agli eventi … Tuttavia, molto di ciò che accadde all’epoca e che è documentato è impossibile da verificare con certezza».

Il libro è costruito come fosse un diario – scritto al tempo presente, che fa vivere al lettore gli avvenimenti in presa diretta – i cui capitoli corrispondono alla cronologia che va da sabato 28 gennaio – un giorno spensierato, in cui si svolge il ballo della stampa, l’«evento sociale più importante della stagione invernale berlinese, una sfilata di gente ricca, bella e potente» – a mercoledì 15 marzo, data simbolo del cerchio che tragicamente si chiude. Quel giorno, infatti, polizia e Camicie brune (Sa-Sturmabteilung) partono per il quartiere di Berlino Wilmersdorf e circondano Laubenheimer Platz, cuore dell’insediamento abitativo soprannominato “blocco rosso”, perché «qui – scrive il saggista – non vive quasi nessuno che non si consideri socialdemocratico, socialista o comunista».

Joseph Roth da Parigi – raggiunta il 30 gennaio 1933, solo poche settimane prima della tragica evoluzione (o meglio involuzione) della situazione politica in Germania – scrive a Stefen Zweig parole profetiche: «Ora le sarà chiaro che andiamo incontro a grandi catastrofi. A prescindere da quelle di carattere privato – la nostra esistenza letteraria e materiale è distrutta – tutto ciò condurrà a una nuova guerra. La nostra vita non vale più un fico secco. Si è riusciti a far governare la barbarie. Non si faccia illusioni. L’inferno è al potere».

E il 28 febbraio inizia di fatto la dittatura hitleriana. La sera prima il Reichstag, il Parlamento tedesco, è devastato da un incendio di cui si autoaccusa l’olandese Marinus van der Lubbe, che dichiara di essere un comunista. Un episodio molto ambiguo (oggi l’avremmo definito post-verità), ma tanto basta ai nazisti per far ricadere la colpa sull’intero Partito comunista (Kpd). Dopo l’incendio, la mattina del 28, Hitler fa firmare al presidente Hindenburg il “Decreto per la protezione del Popolo e dello Stato” e il “Decreto contro il tradimento del popolo tedesco e le attività sovversive”: fine di tutte le libertà e pena di morte per determinati reati politici». Hanno inizio gli arresti di massa e le uccisioni degli oppositori, soprattutto di comunisti e socialisti.

In queste pagine raggelanti, incontriamo tantissime figure intellettuali di spicco del panorama culturale dell’epoca, fra le quali Thomas e Heinrich Mann, Stefen Zweig, Joseph Roth, Bertolt Brecht, Alfred Döblin, Ricarda Huch ecc., tutti alla disperata ricerca di una via d’uscita per sopravvivere. Risolta per lo più emigrando in sordina. Altri decisero di restare, decretando la loro morte, come accadde a tanti altri oppositori al regime.

Il rapporto fra nazisti e cultura è ben chiarito – se ce ne fosse ancora bisogno – dalla battuta che compare nel dramma di Hans Johst “Schlageter”, trasmesso in forma di radiodramma dall’emittente Berliner Rundfunk, il 24 febbraio 1933, e divenuta «subito parte integrante del bagaglio di citazioni dei nazisti: “Quando sento la parola cultura… metto mano alla pistola!”». E alla caccia all’uomo si aggiunge, il 7 marzo, il primo rogo di libri che avrà la sua drammatica apoteosi il 10 maggio 1933 quando l’Unione degli studenti tedeschi organizza il grande rogo di libri a Berlino e in altre venti città universitarie. Il punto raggelante è che «gli studenti non sono obbligati a farlo dal Partito nazista, compiono l’azione di propria iniziativa».

Infine, va segnalato che alla fine di ciascun capitolo sono riportati i resoconti degli atti di violenza a sfondo politico compiuti quel giorno. Nell’ultimo capitolo del saggio, dal titolo “Cosa è accaduto in seguito”, sono raccolte 33 brevi biografie di coloro che abbiamo incontrati lungo la strada di Febbraio 1933. L’inverno della letteratura.

(Uwe Wittstock, Febbraio 1933. L'inverno della letteratura, Marsilio, 2023, pp. 303, 19,00 euro recensione di Glauco Bertani).

(Si ringrazia la Libreria del Teatro, via Crispi 6, Reggio Emilia).

I nostri voti


Stile narrativo
7
Tematica
8
Potenzialità di mercato
7