I nazifascisti in fuga
Lacrime di gioia segnarono i volti di chi, in quei giorni di fine aprile 1945, vide finalmente le schiene dei tedeschi e dei briganti neri fuggire da Reggio Emilia e poté leggere il proclama diffuso dal Comitato provinciale di liberazione nazionale:
«Popolo reggiano, i gloriosi Eserciti Alleati liberatori avanzano sulla via Emilia e già si trovano alle porte della città. I Gap e le Sap attaccano i tedeschi in fuga e li fanno prigionieri a centinaia, liberando un paese dopo l’altro. I partigiani avanzano combattendo sulla città, da Scandiano, Quattro Castella e Cavriago, già liberata. Cittadini! Il C.L.N. vi invita allo sciopero generale insurrezionale. Con una grande dimostrazione popolare gettiamo in faccia al barbaro nemico nazifascista responsabile di tanti delitti il nostro odio e la nostra sete di giustizia. Dimostriamo ai gloriosi eserciti liberatori la nostra grande, entusiastica riconoscenza. Cittadini! Dalle rovine e dalle stragi della tracotanza nazi-fascista, infranta dal valore delle masse popolari, dai gloriosi volontari della Libertà e dall’aiuto degli Eserciti Alleati, sorge l’alba promettente della rinascita del nostro Paese. Avanti verso la libertà e l’indipendenza della Patria! Avanti verso la democrazia progressiva! W i Volontari della Libertà! W gli Eserciti alleati Liberatori! W Reggio Democratica! W l’Italia libera e indipendente!».
Ancora il 22 aprile, tuttavia, come ci racconta Guido Laghi:
«A metà mattina comparvero soldati tedeschi ad affiggere manifesti incitanti i cittadini all’ordine ed alla disciplina … Sono già state prese disposizioni militari – stava scritto nei manifesti tedeschi – in merito all’avanzata del nemico. Esso sarà fermato prima di aver raggiunto la città. Nessuna ragione perciò di preoccupazioni. Eseguite il vostro lavoro ordinatamente in modo da assicurare la vita normale della città. Questo è solamente nel vostro interesse. Non date ascolto ai pettegolezzi che derivano da agenti del nemico … chi disubbidirà “dovrà seguirne le conseguenze, e sarà punito immediatamente nel modo più duro”. Ma dietro di essi, continua il racconto Laghi, sappisti e cittadini coraggiosi defiggevano i fogli nemici, sotto gli occhi … degli attacchini germanici, alquanto depressi, a dire il vero, e privi affatto della solita burbanza. Noi stessi ne staccammo alcuni, e poi, alquanto incoscientemente, salutammo i due tedeschi con il nostro migliore accento germanico: in altri tempi la risposta sarebbe stata una raffica. In quella circostanza, invece, i due risposero cortesemente (!) e con un pallido sorriso…», (G. Laghi, 1985).
In quella stessa giornata di domenica 22 aprile, “II Solco Fascista” aveva cessato le pubblicazioni. I reggiani lo avevano letto fino ad allora alla ricerca di mezze ammissioni, ascoltavano radio Londra e da una finestra all’altra si passavano le novità fortunosamente raccolte, spesso deformate dall’entusiasmo e dalla speranza.
In pianura…
«I giorni che separavano dalla liberazione furono costellati di sanguinosi combattimenti in cui persero la vita numerosi partigiani della pianura. Ricordiamo per tutti i sei sappisti e gappisti morti in combattimento il 23 aprile nella zona di San Rigo-Rivalta, schierati a difesa della zona in cui era in corso una riunione per riorganizzare (e rianimare) definitivamente il Comando piazza, semiparalizzato dall’autunno precedente, e renderlo attivo in vista dell’insurrezione generale. Nei giorni 23 e 24 aprile la situazione divenne magmatica e posizioni subito favorevoli per sappisti e gappisti e per le squadre di garibaldini operanti in pianura, si ribaltavano repentinamente in situazioni pericolose e mortali per l’improvviso sopraggiungere di truppe tedesche in ritirata disordinata, ma non per questo meno combattive. Emblematica del clima di quelle convulse ore è la liberazione di Poviglio. Il 24 aprile ’45 gappisti e sappisti, assieme a numerosi civili armati con le armi catturate al nemico, entrarono in paese tra l’entusiasmo popolare, quando una numerosa colonna nemica invase Poviglio per aprirsi il passaggio verso il Po. Scoppiò un aspro combattimento che si concluse con il sopraggiungere degli americani, ai quali i tedeschi finalmente si arresero. Anche a est, nelle zone di San Martino in Rio, Bagnolo, Massenzatico i partigiani vennero impegnati in diversi combattimenti contro forze tedesche in ritirata, così come nelle zone a nord e sud della via Emilia» (G. Bertani, 1975).
Tante sono le testimonianze sulla liberazione dei paesi della Bassa, scegliamo per tutte quella di Campagnola, legata alla liberazione di Novellara, entrambe libere il 23 aprile, scritta da Egidio Baraldi Walter, della 77ª Brigata Sap “Fratelli Manfredi”:
«Il presidio della brigata nera di Novellara non si vuole arrendere; vuole attendere gli alleati o in mancanza di questi, perché non sono ancora arrivati, parlare con il comando di Battaglione. Un dirigente del primo battaglione si porta a Novellara, unito ad un gruppo di partigiani con armi pesanti. Le trattative iniziano e vengono portate a termine rapidamente: o la resa senza condizioni o l’attacco alla caserma con tutte le conseguenze che ne derivano. … Tutti i partigiani sono impegnati in quel momento nella caccia ai briganti fascisti e ai tedeschi; vengono catturati decine di tedeschi e convogliati in appositi campi. Molto materiale viene recuperato e passato al Cln, che ha il compito di destinarlo al risarcimento dei tanti danni che la popolazione ha subito dalle razzie dei briganti neri e dei fascisti», (E. Baraldi, 1979).
Nella zona pedecollinare, di competenza della 76ª Brigata Sap “Angelo Zanti”, la situazione alla vigilia della Liberazione non è certamente meno tormentata; infatti, scrive Rolando Cavandoli descrivendo la giornata del 24 aprile:
«II triangolo Bibbiano-Cavriago-Montecchio diventa punto di confluenza delle colonne tedesche in ritirata verso l’Enza. Nelle prime ore del mattino i sappisti ritiratisi da Cavriago si trovano completamente circondati dai tedeschi presso villa Aiola. I comandanti si riuniscono per esaminare la situazione e prendere una decisione. Il comandante del 1° distaccamento Gringo tenta una sortita a scopo di perlustrazione. Intanto la casa dove si erano rifugiati i sappisti sbandati viene attaccata dai tedeschi. Nel combattimento cadono 3 sappisti di Cavriago … Truppe tedesche ammassate nella zona riescono ad attraversare l’Enza presso Montecchio, ma vengono decimate dall’aviazione alleata e dal fuoco dei partigiani parmensi (le stesse truppe saranno poco dopo annientate nella sacca Fornovo-Collecchio-Medesano). I sappisti sbandati di Cavriago si uniscono al 3° distaccamento volante comandato da Otello ed entrano con le avanguardie americane in Bibbiano, già liberata dai sappisti locali e dalla popolazione in sciopero insurrezionale. Il distaccamento prosegue quindi verso Cavriago, che i sappisti rimasti nel paese e la popolazione, pure in sciopero, hanno nuovamente e definitivamente liberata dopo un rastrellamento che ha fruttato la cattura di alcune decine di tedeschi. I prigionieri tedeschi vengono consegnati ai sopraggiunti alleati brasiliani. In un manifesto del Cln provinciale, redatto, composto e stampato da dirigenti del F.d.G. azionando a mano la macchina (per l’interruzione dell’erogazione dell’energia elettrica), si annuncia che i partigiani stanno per entrare in citta avanzando da Scandiano, Quattro Castella e “Cavriago già liberata”» (R. Cavandoli, 1975).
E in città
Il lunedì 23 aprile – scrive Negri (Sergio Vecchia) sul “Giornale dell’Emilia” (già “Il Resto del Carlino”) del 24 aprile 1946 – fu una strana giornata di ansia e di attesa. Brutti ceffi giravano ancora per le strade. Repubblichini del S. Marco, pochissimi tedeschi, che però erano più frequenti sulla circonvallazione, sorvegliata da reparti appiedati che avevano il compito di garantire il traffico sull’unica via di comunicazione rimasta ai germanici ripieganti. Gli ufficiali ed i soldati della “PlatzKommandatur” e della “Ortzkommandatur” erano ancora là. Nel pomeriggio si riuniva nei locali della “Liquigas”, in via Toschi, il C.L.N. cittadino. … La situazione era tesa, un’ansia spasmodica prendeva tutti. Le notizie che giungevano erano spesso contraddittorie. La città era isolata dal resto della regione e, si può dire, della provincia. … Reparti di fanteria ed alcune rare unità di artiglieria tedesche, nella serata, si erano sistemati a difesa di alcuni rioni periferici a nord, est e sud-est di Reggio e in numerosi casi commettevano violenze sulle persone e sulle cose. Particolarmente rubavano biciclette. … L’alba un po’ caliginosa del 24 aprile trovava le strade di Reggio stranamente vuote. Molti, specie alla periferia, avevano passato la notte insonni. Non si sentivano rumori di apparecchi, ma solo, di tanto in tanto, boati lontani, verso oriente».
La montagna
Intanto tutta la montagna era in movimento, in una corsa verso la pianura.
«Incontrai – racconta Giannino Degani mentre scendeva in pianura – un gruppo di prigionieri che risalivano la strada con il bracciale della croce rossa sulla divisa. Erano disarmati e dietro di loro stavano partigiani coi fucili…» (G. Degani, 1975).
Martedì 23 Casina è liberata da reparti della Brigata Sap della montagna.
«Abbiamo da poche ore occupato Casina – scrive Gismondo Veroni – e la resistenza dei tedeschi è stata debole. Ad una sola finestra sventola la bandiera tricolore; nelle strade e nella piazza i partigiani sono circondati da poche persone. La popolazione, incredula di quanto sta avvenendo, non è ancora esplosa in quella manifestazione di entusiasmo che la libertà comporterebbe. I nazisti e i fascisti del comando presidio sono in parte fuggiti nei boschi, ma la maggior numero di essi è stato catturato dai partigiani ed ora si trova rinchiuso nel castello di Leguigno. Casina è sempre stata per noi una spina nel fianco, una fortezza inespugnabile. Oggi finalmente, vediamo capitolare quello che fu il presidio più munito posto dai tedeschi sulla Statale 63» (G. Veroni, 1975).
Infatti, almeno fino al 20 aprile su tutta la montagna reggiana, anche se contrastata da vaste operazione di rastrellamento nazifasciste, la guerriglia partigiana aveva continuato perentoriamente le sue azioni.
«La ritirata sulla SS 63 – scrive Massimo Storchi – fu un calvario, ostacolato da tutte le “Brigate scese ormai in campo aperto, tanto che il grosso delle formazioni tedesche preferì la SS 62 della Cisa per trovare scampo verso il Po. Il 23 aprile si svolge l’ultimo aspro combattimento a Felina…” (M. Storchi, 2005)».
Il 24 aprile la montagna era già tutta liberata.
«Negli ultimi giorni – racconta il partigiano Severino Bulgarelli Pansa – c’era stato solo qualche scontro sporadico a Cervarezza, Castelnovo Monti, Sparavalle. Alcuni partigiani morirono in agguati sporadici come il mio amico Saetta. Vi era un carro carico di armi che Saetta doveva controllare. Quando è andato per ispezionare il carico, il carro è esploso e con il carro è saltato in aria anche lui. Così è morto questo mio amico. Del resto l’attesa del secondo fronte era così estenuante che quando c’era necessità di combattere si combatteva anche senza ordini precisi. In pratica, quando dei partigiani incontravano dei tedeschi attaccavano anche senza ordini e riuscivano in genere ad avere la meglio».
Con l’occupazione di Vezzano sul Crostolo da parte di gruppi sappistici «appoggiati da alcuni soldati statunitensi, l’Appennino reggiano, ad eccezione di modesti nuclei di sbandati, era del tutto libero dalla presenza di forze tedesche: la strada per Reggio nell’Emilia era aperta…» (Laghi). E Degani, quando arrivò in pianura, vide la città «cinta dai muri che avevano costruito i tedeschi. … Muri chiudevano l’entrata dei negozi. Muri ovunque. Si aveva l’impressione che tutta la vita degli abitanti si fosse ritirata in tane…».
Ma i pericoli erano tutt’altro che cessati alla vigilia della Liberazione.
I franchi tiratori fascisti
«Particolarmente interessante – scriverà Negri un anno dopo in occasione del primo anniversario della Liberazione – per far rilevare lo stato d’animo nel quale dovevano “lavorare” le organizzazioni patriottiche in città, è l’informazione di fonte abbastanza sicura, secondo cui l’ex federazione fascista repubblichina aveva organizzato e pagato 500 “franchi tiratori” per colpire alle spalle i Volontari della Libertà. In pratica poi essi furono, per fortuna, molto meno, forse non arrivarono al centinaio».
Tuttavia i cecchini fascisti colpirono due partigiani, di cui uno a morte, nella zona dove oggi sorge l’Arcispedale Santa Maria Nuova:
«Dopo un festoso passaggio attraverso i paesi di Albinea e Villa Canali, raggiungiamo – scrivono nel rapporto sull’attività della 145ª Brigata Garibaldi «Franco Casoli» Miro (Riccardo Cocconi) e Ramis (Brenno Orlandini) – San Pellegrino ed imbocchiamo Viale Risorgimento. Apprendiamo che in città i franchi tiratori continuano la resistenza saltuariamente, specialmente nella periferia. E, infatti, la nostra colonna è ormai a metà del Viale [Risorgimento] quando all’improvviso un fuoco intensissimo si riversa su di noi. Le macchine si fermano immediatamente, tutti scendono a terra e si mettono al coperto, mentre qualche mitragliatore, dal camion spara sulle finestrelle dei solai e sugli abbaini da dove sembra provengano i colpi. Ne nasce una confusione indescrivibile e non è possibile raccapezzarsi. Poi poco a poco ci orientiamo; i distaccamenti si frazionano in piccole pattuglie, che in ordine sparso si infiltrano nelle vie laterali, attorno agli isolati, nei giardini.
Si assumono informazioni dalla popolazione che è ben felice di poterci aiutare, si sfondano le porte delle case sospette, si perquisiscono da cima a fondo le abitazioni. Qualche fascista è scovato e giustiziato».
I franchi tiratori furono passati per le armi.
24 aprile: Reggio liberata
Intanto nella convulsa giornata del 24 aprile il Comitato provinciale di liberazione nazionale (Cpln)
«stava studiando la possibilità di occupare la Prefettura ed ivi insediarsi. … Uno dei componenti del C.P.L.N., poi, usciva dalla casa di Via Toschi 16 (dove, nell’appartamento della famiglia Manini, aveva la sua sede provvisoria il C.P.L.N.) per una puntata esplorativa verso la Prefettura. Continuava il martellamento dell’artiglieria. Da un po’ non si avevano comunicazioni dall’esterno, ed era necessario trovare una “base” nei pressi della stessa Prefettura, per il caso che vi fossero sorprese. L’avv. Romolotti ben volentieri offrì ospitalità ai membri del C.P.L.N.. Questi infatti, dopo il ritorno di Carlini, si portavano alla casa Romolotti in via Emilia Santo Stefano, scortati, per un certo tratto, da uomini di ‘Remo’, coi quali però, per un malinteso veniva perso il contatto. Dopo una breve sosta, cessato il bombardamento e mentre andava nascendo qualche sparatoria per le strade e dai tetti, verso le 16.30-17 i componenti il C.P.L.N. (Marelli, Curti, Carlini, Giaroni e Ferrari) in quel momento senza scorta e disarmati, si portavano in Prefettura, e dal balcone alle 17 e 05 precise, veniva sciolta al vento la bandiera tricolore. Contemporaneamente il primo reparto della Brigata “Italo” entrava in Reggio ed issava il tricolore sul balcone del Municipio». «Nella serata del 24 – prosegue Negri – giungevano a Reggio tutti membri effettivi del C.L.N. provinciale ed i comandanti di quasi tutte le formazioni partigiane e si insediavano in Prefettura. … Nella mattinata del 25 giungeva in Prefettura il Governatore alleato Colonnello J. De L. Radice ed il C.P.N.L. insediava in Prefettura l’avv. Vittorio Pellizzi».
Verso il Po
«Il 25 aprile eravamo in città. La gioia dei giovani reggiani per la libertà conquistata – ricorda il partigiano Severino Bulgarelli Pansa – esplose e si poteva concretamente vedere nei giorni 25 e 26 aprile. Mi ricordo che nella zona di San Pietro c’era tanta gente, tanta agitazione. C’era chi cercava di fuggire, chi cercava di nascondersi, e chi faceva il proprio dovere di arrestare persone che erano state fasciste ed arroganti. A Reggio di fascisti ce n’erano tanti e qualcuno doveva pur esserci ancora. I fascisti arrestati sono stati portati alla caserma Zucchi […]. Gli americani sono arrivati a Reggio in gran parata distribuendo cioccolata e sigarette. Io non li ho seguiti. Con parte del mio gruppo sono andato al comando di Guastalla, perché fascisti e tedeschi si portavano verso il Po. Noi volevamo combatterli. A Guastalla c’erano i tedeschi che cercavano disperatamente di passare il Po. Qualcuno è riuscito a fuggire, ma sono stati tanti quelli che sono andati in acqua e sono annegati. Nel vedere quei tedeschi allo sbando, mi è salita una rabbia terribile: i tedeschi erano già finiti, bastava saperlo un po’ prima e con la nostra voglia di combattere e con le nostre capacità, pur nella differenza di equipaggiamento, avremmo potuto annientarli qualche mese prima evitando tante sofferenze alla nostra popolazione. Correvano in acqua i tedeschi e morivano come topi. È terribile il ricordo di giovani che muoiono, anche se nemici».
Il 3 maggio 1945 le Brigate partigiane sfilarono per le vie di Reggio liberata.
( le foto pubblicate nell’articolo provengono dall’archivio di Istoreco che ringraziamo).
Note:
– Rielaborazione testo tratto Reggio Emilia, aprile 1945: Aldo dice 26×1, 2014, “RS-Ricerche Storiche”/117.
– Pietro Secchia, Aldo dice 26×1. Cronistoria del 25 aprile 1945 (Feltrinelli, 1973);
– Si ringrazia la redazione reggiana del “Resto del Carlino” per aver consentito la consultazione e la riproduzione degli articolo citati);
– Severino Bulgarelli Pansa (comandante del distaccamento “Bruno Casini” della 144ª Brigata Garibaldi), i brani citati sono tratti da una memoria scritta lasciata alla Redazione del “Notiziario Anpi” dopo la sua morte;
– Miro (Riccardo Cocconi) e Ramis (Brenno Orlandini), Rapporto sull’attività della 145ª Brigata Garibaldi “Franco Casoli” in “RS-Ricerche Storiche”, 1969/7-8.
Ci stringiamo nel ricordo del giovane seminarista Rolando Rivi ucciso il 13 aprile 1945 e beatificato il 5 ottobre del 2013.
Scrive il Vescovo Massmo Camisasca in
La seconda figura di santo per una riforma è quella del Beato Rolando Rivi.
Non era ancora sacerdote, ma seminarista, quando due partigiani comunisti lo
freddarono sul finire della guerra perché «era il prete di domani».
GRAZIE ROLANDO