Potremmo riassumere i diciassette anni che vanno dal 1966 al 1982, grondanti sangue e tragedie, con un cinico «alla fine è andate bene!». È andata bene alla democrazia italiana, nata nel 1945, nonostante lo stragismo neofascista e il piombo del brigatismo rosso. È andata bene a tutti noi che ancora oggi viviamo in democrazia e non, perdonate l’anacronismo, nella “democratura” prospettata da Licio Gelli – con la sua creatura, la loggia massonica segreta Propaganda 2 (P2) – nel “Piano di rinascita democratica”, messo a punto tra la fine del 1975 e l’inizio del 1976, e ritrovato casualmente il 4 luglio 1981 «avendolo (Gelli) malamente occultato nel sottofondo di una valigia della figlia sbarcata all’aeroporto di Fiumicino».
Il manifesto golpista «registrava l’abbandono di qualsiasi progetto golpista tradizionale, come i tentativi di colpo di Stato tradizionale che avevano contrassegnato la storia d’Italia dal 1970 (congiura dell’aristocratico neofascista Junio Valerio Borghese) al 1974 (congiura dell’aristocratico antifascista Edgardo Sogno) e segnava l’avvio di una strategia nuova: una penetrazione graduale e incisiva nei gangli del potere italiano che andavano occupati … dall’interno in modo segreto con selezionati uomini fidati … In base a questo progetto di rinascita nazionale il sistema costituzionale e democratico italiano non doveva più essere rovesciato grazie a un’azione militare o con nuove stragi neofasciste ma progressivamente svuotato da dentro e anestetizzato».
Tutto ciò che è accaduto in Italia in quegli anni, che Gotor ricostruisce molto bene in “Generazione Settanta. Storia del decennio più lungo del secolo breve, 1966-1982”, un libro denso e dettagliato (dovrebbe diventare un libro di testo scolastico come minimo), aveva un solo scopo: «Destabilizzare l’ordine pubblico per stabilizzare l’ordine politico». E i destabilizzatori di quest’ultimo sarebbero stati i comunisti del Pci (Partito comunista italiano). Andavano fermati con ogni mezzo. E sono stati usati, secondo Gotor con la modalità stragista – i cui esecutori appartenevano a organizzazioni neofasciste quali Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale con l’appoggio di apparati dello Stato – fino al 1974, poi «nel settembre 1974 il capo del Sid [Servizio informazioni difesa] [Vito] Miceli, sotto processo nell’ambito dell’inchiesta “Rosa dei Venti”, spiegò in presa diretta al pubblico ministero Giovanni Tamburrino cosa stava per avvenire in Italia: “ora non sentirete più parlare del terrorismo nero, ora sentirete parlare soltanto di quegli altri”, ossia delle Brigate rosse e della galassia del “Partito armato”. Se fosse ancora vivo, un esperto e vittima del “sovversivismo dall’alto” come Gramsci avrebbe commentato che gli “strateghi della tensione” si erano limitati a “cambiare spalla al fucile”. E così fu».
Nei cinque anni compresi fra il 1969 e l’agosto 1974, e ricordiamo qui solo gli attentati più gravi, furono compiute le stragi: 12 dicembre 1969, Piazza Fontana a Milano; 22 luglio 1970, stazione di Gioia Tauro; 31 maggio 1972, Peteano, provincia di Gorizia; 17 maggio 1973, questura di Milano; 28 maggio 1974, Piazza della Loggia a Brescia.
Dopo la strage di Milano prende vita all’interno della sinistra extraparlamentare la formula “strage di Stato”, che se ha avuto il merito di mobilitare le coscienze in quell’epoca rovente, secondo Gotor «cinquant’anni dopo non funziona più sul piano storiografico per due buone ragioni: è intrinsecamente autoassolutoria e, infatti, oggi viene utilizzata anche dai neofascisti, consentendo loro di presentarsi come capri espiatori alla stregua degli anarchici perché se la strage è di Stato alla fine nessuno è stato. In secondo luogo ha impedito di approfondire gli aspri contrasti sviluppatisi in Italia in seno alla magistratura, alla polizia inquirente e persino nei servizi segreti, contrasti che in tanti ancora hanno interesse a rimuovere».
L’Italia ha resistito, nonostante il crocevia di servizi segreti che hanno percorso la Penisola da Est a Ovest e da Sud a Nord (non bisogna dimenticare il bollente quadrante mediorientale di allora – e il ruolo che si era ritagliato il nostro Paese – e la Libia di Gheddafi, al potere dal 1969), senza diventare la Grecia dei colonnelli (1967), la Spagna di Franco o il Portogallo di Salazar e poi di Marcelo Caetano. La ragione principale nasce dai forti movimenti sociali e sindacali che a partire dal 1969 si sviluppano in Italia e dalla presenza di un forte partito comunista. Un colpo di Stato alla greca avrebbe condotto il paese a una guerra civile che gli americani non volevano (sarebbe potuta intervenire l’URSS), impedito anche dall’opera di uomini come l’esponete della Democrazia Cristiana Aldo Moro che della democrazia parlamentare era custode. E Aldo Moro divenne vittima del cambio di “spalla al fucile”. Venne rapito e ucciso dalle Brigate rosse nel 1978, quando, dopo un paziente lavoro politico, stava facendo entrare il Pci di Enrico Berlinguer nell’area di governo, in un mondo ancora diviso rigidamente fra blocco sovietico e Occidente.
Tanti nomi di politici si incontrano in questa cavalcata storiografica che a molti oggi non dicono più niente o quasi (ulteriore invito a leggere il libro), ma ciò che preme ricordare qui, e semplifichiamo, è il caso esemplare di Giulio Andreotti, un punto di equilibrio fra luce e tenebre.
In quegli anni, deve essere ricordato, viene approvato lo Statuto dei lavoratori (1970), lo Stato si articola finalmente nelle Regioni, comincia a formarsi il welfare state che oggi conosciamo, la società civile approva la legge sul divorzio…Riforme che nascono dalle lotte sociali di fine anni Sessanta che scavallano il decennio per esaurirsi simbolicamente con la «marcia dei quarantamila» colletti bianchi che nell’ottobre 1980, a Torino, scendono in piazza contro gli operai. E così torniamo al 1968 nazionale. Una differenza che caratterizza il Sessantotto italiano è «il legame tra il movimento studentesco e quello operaio, presente sin dalle origini della contestazione» che «rappresenta il filo rosso di tutto il lungo Sessantotto italiano». Potere operaio, Lotta continua e le tante sigle di organizzazioni extraparlamentari sono figlie di quell’epoca e il 1977. l’anno del «movimento dei non garantiti», sarà il turning point che traghetterà una diffusa illegalità nella lotta armata. Nascerà il “Partito armato” con alla testa le BR, e sarà il rapimento Moro a porle come formazione leader della lotta armata. E, se interpretiamo bene il pensiero di Gotor, per quell’epoca c’è troppa memoria e poca storia (ossia ricerca storiografica).
«Sul piano storico – scrive l’autore – bisognerà capire per quale ragione l’Italia è stato l’unico Paese al mondo in cui il movimento studentesco del 1968, esploso nei principali Stati industrializzati dell’Occidente, si è progressivamente trasformato in un violentissimo conflitto tra avanguardie armate di destra e di sinistra, a sua volta alimentato e accompagnato, altra specificità nazionale, da una serie di stragi di centinaia di cittadini inermi e di omicidi selezionati. Un ciclo destabilizzante, iniziato nel 1969 e terminato intorno al 1984» Prima di quell’anno, nel 1980 si consuma, la strage di Ustica (28 giugno), che però non rientrerebbe nella “strategia della tensione”, ma l’abbattimento dell’areo DC-9 Itavia sarebbe stato il tragico errore di qualche pilota Nato (francese?), un «intrigo internazionale»?; e il 2 agosto la strage di Bologna: «una questione ancora aperta sul piano giudiziario…». La stagione stragista si conclude il 23 dicembre 1984 con una bomba sul Rapido 904, come nel 1974, presso la Grande galleria dell’Appennino a San Benedetto Val di Sambro.
Ci fermiamo qua, altrimenti rischiamo di scrivere un libro anziché una recensione. Per conoscere la ricchezza di quel periodo, nel bene e nel male, raccontato storiograficamente dallo storico romano, non possiamo che rimandarvi alla lettura del libro, certi che non sarà tempo perso.
(Miguel Gotor, Generazione Settanta. Storia del decennio più lungo del secolo breve, 1966-1982, Einaudi, 2022, pp.464, 34,00 euro, recensione di Glauco Bertani).
(Si ringrazia la Libreria del Teatro, via Crispi 6, Reggio Emilia).
Ultimi commenti
Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]