“Il cielo e la terra passeranno”

Il Vangelo della domenica

Trentatreesima Domenica del Tempo Ordinario, Anno B – 18 novembre 2018

Dal vangelo secondo Marco (Mc 13,24-32)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.

Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre”.

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Provo un grande dolore per gli scandali che emergono a carico di uomini e strutture della Chiesa. Le parole di Benedetto XVI, che, ancora cardinale, parlava di “sporcizia nella Chiesa” nella Via Crucis del Venerdì Santo del 2005, mi sembrarono allora un po’ retoriche, piamente retoriche. Ora, purtroppo, se ne avverte la pesante verità.

Può sembrare un paradosso, ma il vangelo di oggi, che parla della fine, mi consola. Gesù infatti dice che “nessuno conosce quel giorno e quell’ora”, addirittura neanche lui ne vuole parlare, perché la fine è unicamente nelle mani di Dio. Questo vuol dire che essa non è nelle mani dell’uomo; non lo è nella variante ottimista, di moda negli anni Novanta, quando si credeva prossimo il Nuovo Ordine Mondiale; ma non lo è neppure nella variante pessimista e triste, di chi è oppresso dal pensiero della catastrofe ecologica o da quella politica o da quella morale. Il cristiano non può dire: “Ma dove andremo a finire?”, perché in realtà egli lo sa: l’uomo cade nelle mani di Dio, che sono mani di tenerezza e misericordia.

Certo, il mondo finisce. Più che la fine del tempo, oggi noi temiamo la fine del significato. Ecco perché ci opprime lo spettacolo degli scandali nella Chiesa; anche chi non è credente, non può rallegrarsi dell’indebolimento di una realtà che richiama a valori e a speranze, che tenta di difendere la dignità dell’uomo e di promuovere la coesione delle comunità. L’alternativa, infatti, è un individualismo esasperato e cinico: “Tutti uguali, tutti ladri, tutti ipocriti!”. Dopo di che, qualcuno si sente autorizzato a “fare come tutti” o, al contrario, a ritirarsi in un isolamento rancoroso e, al limite, violento, perché negli altri si vedono solo dei nemici.

Qual è allora la visione che Gesù ha della storia? Anzitutto, egli ne afferma la provvisorietà. Questo è molto importante, perché ci può guarire dai rischi dell’utopia e dall’ansia del successo. Più volte, Gesù usa l’immagine del servo, che lavora sodo, perché gli sono stati affidati dal padrone i “talenti”: egli desidera presentarglieli moltiplicati. Ma con il cuore, ancora più che con l’orecchio, egli ascolta il rumore dei passi di Colui che ritorna e la sua gioia sta nel sentirsi dire: “Bene, servo buono e fedele! Sei stato fedele nel poco, ti darò il molto: entra nella gioia del tuo Signore”. Proprio per questo, la storia, anche se segnata dalla provvisorietà, è importante: se il futuro è nelle mani del Padrone, l’oggi è nelle nostre mani.

Qualcuno però può pensare di avere le mani legate o incatenate, per le malattie, la vecchiaia, la povertà, la malvagità degli uomini, le sofferenze della vita. Proprio però il caso della Chiesa può confortare e mostrare che non siamo poi così impotenti.

La riforma di Papa Francesco è davvero una grande benedizione e c’è solo da auspicare che egli vada avanti e faccia pulizia. Tuttavia, la riforma delle strutture, pure importantissima, non è sufficiente, anzi, può fallire, diventare addirittura un alibi, se manca la conversione delle coscienze. L’esperienza della Chiesa ci dice che, dietro ogni azione di riforma, c’è la santità quotidiana di tanti “piccoli” agli occhi del mondo: santa Teresa di Gesù Bambino, una giovane monaca carmelitana, che muore a 23 anni, ha fatto per la riforma della Chiesa molto di più lei dei pur grandi Papi del suo tempo. La Chiesa è come un iceberg: la parte sommersa e invisibile è molto più grande di quella che si vede. E’ nelle nostre famiglie, nelle comunità, nelle assemblee dove i poveri pregano che dobbiamo cercare la forza della Chiesa.

Questo ci riporta alla nostra responsabilità. Tuttavia, va evitato il volontarismo donchisciottesco di chi dice: “Noi rimetteremo a posto le cose!”. La primavera viene non perché lo decide il contadino. Nei germogli del fico si esprime un’energia vitale che è un miracolo di dono. Così, nella Chiesa, la forza del rinnovamento viene dallo Spirito Santo, cioè da un Amore che sempre rinnova la sua offerta. Per questo, anche i malvagi, i disonesti, i pedofili, i violenti ci appartengono. Isolarli, punirli, è giusto: ma non dimentichiamo che anch’essi sono uomini e che anche per loro potrà venire il giorno dell’angoscia, quando li assalirà il rimorso del male compiuto e del dolore arrecato, e le giustificazioni non reggeranno più e il fallimento di una vita li opprimerà. In quel giorno sarà importante mostrar loro “il segno del Figlio dell’Uomo”, cioè la croce di Gesù, là dove il male si addensa e apparentemente riporta la sua più grande vittoria: la Chiesa nasce proprio lì, dal più grande fallimento dell’uomo. Ma la colpa di tutti diventa l’occasione della misericordia per tutti.