Le mancette della solita Italia

fangareggi_nicola_new_york_times_intl

Il cosiddetto reddito di cittadinanza esiste in forme diverse in quasi tutta Europa. La misura parte da un assunto di natura etico-sociale: il giovane, o chi perde il lavoro e si trova in condizioni di difficoltà, viene agevolato dallo Stato nell’immediato con un sostegno al reddito e contemporaneamente nell’individuazione di un’occupazione alternativa. Di norma il meccanismo viene a soluzione nel volgere di un paio d’anni (ma nel Nord Europa anche molto prima). In altri Paesi, dotati di uno spirito di integrazione sociale più elevato che in Italia e con minori differenze socio-economiche, tutte le parti in causa operano affinché il singolo e il tessuto produttivo si incontrino e trovino reciproca soddisfazione per sé e per la comunità. In sostanza, funziona.

Il Movimento 5 Stelle ha posto al centro della propria proposta politica il reddito di cittadinanza ormai da molti anni. E’ una proposta che ha incontrato un grande favore popolare soprattutto nel Mezzogiorno, dove purtroppo l’Italia sconta la secolare incapacità di portare quelle regioni ai livelli di progresso economico adeguato al Nord. I grillini hanno fatto il pieno di voti e ora devono mantenere la promessa, pena il rischio di una futura punizione alle urne.

Siccome purtroppo l’Italia, nel bene e nel male, non è un Paese come gli altri, sono già disponibili in rete ottimi manuali che insegnano (qualora se ne abbia il diritto, direttamente o meno) a incassare in RdC e a svolgere contemporaneamente un secondo lavoro in nero. Quanta economia sommersa circoli soprattutto nelle regioni meridionali – e quanto, di converso, il mercato e lo Stato non siano stati in grado di porvi rimedio – è anch’essa storia assai lunga.

Il Sole 24 Ore ha calcolato l’impatto del RdC sul territorio italiano sulla base dei nove miliardi di euro teoricamente assegnati nella legge di stabilità. Fin troppo prevedibile accertare che la gran parte delle risorse sia destinata alle regioni meridionali a svantaggio delle aree del Paese dove il reddito medio sia ben più alto. Se osserviamo l’impatto del RdC sull’Emilia- Romagna, si va dalla quarantasettesima posizione di Parma alla novantaduesima di Piacenza.
Le cifre medie si aggirano intorno alle dimensioni del reddito di inclusione stabilito dal precedente governo. I conti pubblici italiani, chiunque sia al governo, non permettono comunque operazioni epocali, a meno che l’attuale esecutivo (circostanza improbabile) riesca a convincere i partner europei a derubricare la situazione italiana al di là di vincoli e parametri stabiliti collegialmente.

Vista di qui, ossia da una regione che macina record di esportazioni e ha superato di slancio la doppia crisi finanziaria del decennio, l’agenda del governo dovrebbe contenere tutt’altre priorità.

Dovrebbe agevolare il tessuto produttivo sbaraccando un sistema burocratico ottocentesco che svilisce anziché esaltare lo spirito di chi voglia aprire un’impresa;

dovrebbe adeguare il costo del lavoro alle reali esigenze del mercato e non a proiezioni e vincoli anch’essi appartenenti a un passato irripetibile;

dovrebbe concentrarsi sulle infrastrutture e rendere efficiente, utile e veloce la pubblica amministrazione, compresa la gestione della giustizia.

In sintesi, dovrebbe muoversi come si muovono i competitori internazionali dinanzi alla sfida del ventunesimo secolo, alla quale ci siamo approcciati con gravi ritardi.

Non è di mancette o di assistenza che ha bisogno l’Italia per tentare di ripartire. Non si può che ripartire sempre dallo stesso punto, ossia dalla coesione sociale, dall’istruzione e dalla formazione. Ma affinché ciò accada non serve una classe politica litigiosa e inconcludente. Serve uno spirito comune, un quadro di orizzonti di valori condivisi, un senso di appartenenza capace di tradursi in opera di collaborazione. Complicato? Si direbbe di no. E’ una ricetta semplice, grosso modo evocata tra l’altro dalle principali associazioni del mondo produttivo italiano. Eppure ancora, nonostante il cambio di governo, le previsioni per il futuro sono fosche e la maggioranza del tempo sembra sprecato in chiacchiere e polemiche anziché in utili azioni di governo.