Alziamo lo sguardo oltre il venticinque settembre e ipotizziamo che in Parlamento si conti una larga maggioranza di centrodestra. Osserviamo la situazione da Reggio Emilia, la provincia più rossa d’Italia, dove l’avversione a un eventuale governo Meloni si manifesta in forma assai evidente, e facciamolo dal punto di vista del Partito democratico, la forza alternativa sconfitta. Emergono le inevitabili domande: perché abbiamo perso? Abbiamo sbagliato alleanze? È un problema di coalizione? Sono gli italiani che non ci capiscono?
A me pare che la ragione fondamentale della prossima probabile sconfitta del Pd non dipenda dalle alleanze o dalle coalizioni, quanto da un problema mai risolto quanto radicato negli sviluppi del progetto iniziale mirato a unire le diverse anime del riformismo italiano.
Quell’intuizione, oggi, è al capolinea. Il mondo è cambiato, le analisi e le ricette del passato non hanno più senso. Ne deriva che il Pd stesso abbia da tempo perduto la propria forza propulsiva (ammesso e non concesso che l’abbia mai avuta). La sinistra italiana è di fronte a un bivio: liberarsi delle catene del passato, da Veltroni a Renzi, dall’Ulivo al mai sbocciato campo largo, e rifondarsi con una visione moderna del fare politica nel ventunesimo secolo, oppure vivacchiare di vecchie rendite, molti compromessi e qualche amministrazione locale.
Mi chiedo come possa una forza neosocialista riconoscersi nella cosiddetta agenda Draghi. La politica del presidente del consiglio uscente è di matrice liberale pienamente immersa nel mondo delle banche e del capitalismo finanziario. C’è ancora chi ama definirsi “socialista liberale”: due visioni distanti e parallele, estranee al mondo reale, non mischiabili né sovrapponibili.
Il Pd invecchia in una lunga deriva decadente, spaventato dalla vicina cessione di potere e di poltrone, prigioniero della lotta tra correnti che avvilisce il residuo entusiasmo dei militanti e dei pochi frequentatori di circoli e agorà.
Ritrovare empatia e creare rappresentanza nei ceti sociali un tempo egemonizzati dal Pci. Ridefinire il concetto oggi impronunciabile di classe, laddove – oltre e comunque al di fuori dalla storica impostazione marxista-leninista – è la strada indicata dalle più fresche rappresentazioni del socialismo internazionale, a partire da Jean-Luc Mélanchon (il cui appoggio alla lista De Magistris può sorprendere, ma indica almeno una direzione).
Viviamo un tempo di guerre, di carestie e di divisioni. Sulla scena europea sono ricomparsi i proletari di una volta ai quali manca un approdo, un leader, un mito fondativo.
Nel Mezzogiorno molti giovani campano di reddito di cittadinanza e lavorano in nero, magari all’estero. La crisi energetica, alla quale abbiamo geopoliticamente contribuito a generare, riduce sul lastrico imprese e famiglie. Cresce l’inflazione e si parla di razionamenti, termine mai sentito dalle generazioni millennials. L’inflazione mangia il potere d’acquisto e accentua gli enormi divari sociali. Ci sarebbe molto da fare per una sinistra moderna anche in Italia, ma a dire il vero non se ne vede l’ombra.
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La nuova religione il 25 aprile. Forse si dovrebbe prendere atto dei tanti che da camerati si trasformarono prontamente in compagni, p.es.dario fo, Napolitano, Scalfari...
Felicità, li accoglieremo come fu per gli americani nel 45.... immagino tutte le città da qui a qualche anno ridondanti di zone rosse e […]
opperò, persona di larghe vedute...