All’inizio di questo nuovo anno scolastico mi fa piacere condividere con i lettori di 24emilia l’uscita di due miei nuovi libri editi da Raffaello Editrice per i più giovani.
Filippo Maria, il terribile è il più divertente. Costruito a capitolati brevi e narrato al tempo presente, con numerosi dialoghi e illustrazioni, il racconto ruota attorno a un alunno di sei anni e al maestro Giuseppe. Filippo Maria è un po’ il condensato dei tanti monelli conosciuti. Come tutti i famosi monelli della letteratura, Filippo Maria combina guai, è sempre un po’ sopra le righe e affronta, con il suo fare scanzonato e infantile, i temi e i problemi della contemporaneità. Il libro inaugura una nuova collana di narrativa per la scuola primaria per rispondere a esigenze di bambini con difficoltà di lettura. Si può leggere agevolmente a partire dai 7/8 anni. E nella parte finale sono presenti dei giochi per la comprensione del testo. E’ vero, Filippo Maria è un bambino “difficile”, come si dice sempre più spesso oggi – tradizione di: “impegnativo” per un adulto – ma ha sempre sei anni. Voglio dire: è sempre un bambino. Perciò è anche divertente, astuto, candido, gestibile. Se sostituisce i voti che prende con voti più alti, è solo per fare più felici i genitori. Se dice che il maestro è morto, è per fare uno scherzo ai compagni. Al di là dei fini didattici del testo, con questo testo mi piaceva ricordare che i bulli, dentro e fuori dalla scuola, sono sempre esistiti e si sono sempre gestiti, magari con meno allarmismo di oggi parlando in continuazione di “bulli” invece che di “monelli”.
Il secondo libro, per giovani adulti – ma anche, spero, per adulti non più giovanissimi – ha invece per protagonista Amira: è ua ragazzina di quindici anni, frequenta le scuole superiori a Sant’Ilario d’Enza. È nata in Italia, ma i suoi genitori vengono dal Marocco. Un tempo, sentirsi chiamare “araba”, “marocchina” o “straniera” la offendeva. Adesso non ci fa più caso, tanto da considerare le battute razziste del ragazzo più popolare – e bello – della scuola un segno di attenzione verso di lei. Così, quando lui la invita alla sua festa di compleanno Amira accetta, ma… Tre puntini: cosa succederà? Non si può dire proprio tutto. Qui. Adesso. Ma tengo a questo testo perché affronta un tema che mi è caro: quello dello ius soli. E lo fa attraverso il racconto dei nuovi italiani, nati e vissuti nel nostro Paese ma considerati ancora “invisibili”.
In realtà Amira. Un mondo senza confini si rifà a Lamiaa Zilaf. Adesso abita in Francia ed è un’adolescente. Ma è nata a Reggio da genitori marocchini. Probabilmente tanti suoi compagni di scuola la ricorderanno. Ho avuto la felicità di conoscerla nel 2011, quando aveva 11 anni, al lancio della campagna nazionale di cittadinanza “L’Italia sono anch’io” insieme al presidente dell’Arci Federico Amico e all0allora sindaco della città Graziano Delrio. Lamia lesse una lettera in cui chiedeva agli italiani di concederle la cittadinanza perché era nata in Italia e si sentiva italiana, e tra l’altro scriveva: “Il Marocco è il mio papà, l’Italia è la mia mamma”. Commosse tutti. Al termine della lettura mi avvicinai a lei e ai suoi genitori. Nei giorni dopo riuscii a far pubblicare la sua lettera su diversi giornali italiani. Un anno dopo, poi, Lamiaa rilesse questa lettera in Parlamento. Da tempo avevo in mente di scrivere un romanzo su di lei. Così l’ho contatta un paio di anni fa su Facebook. Mi son fatto raccontare come era la sua giornata tipo adesso, in Francia. Ho immaginato che Lamiaa si chiamasse Amira e fosse stata una mia alunna.
Mi capita spesso, come docente, di rendermi conto come, in questo caso specifico – mintegrazione, ius soli – la scuola pubblica italiana rappresenti ancora, – nonostante i tanti politici che la hanno indebolita e attaccata in questi anni, – un luogo sano di comunità, spesso assai più sano ed evoluto della società civile in cui è inserita.
Voglio dire: a nessuno dei miei alunni verrebbe mai in mente di dividere i suoi compagni di classe in compagni di serie A e di serie B. Invece, tra adulti lo facciamo: cittadini di serie A e serie B. Lo fa la nostra legge, la legge che ci siamo dati noi. Accoglienza, rispetto, uguaglianza, parità di opportunità, a scuola, sembrano valori ancora abbastanza condivisi; non sempre, invece, sembra, lo sono al di fuori. A scuola nessun bambino è straniero, ammettiamolo. Almeno in Italia. Insomma, su questo punto la scuola è molto più avanti della società civile. Ogni bambino nasce cittadino, ce lo dicono l’Onu e l’Unicef. Ma in Italia, fino a diciotto anni è considerato apolide, invisibile. E’ vergognoso. Ed è triste e ridicolo allo stesso tempo, vedere che ci sono persone e forze politiche che hanno paura dei bambini nati in Italia da genitori stranieri. Non si promuovono così l’integrazione. E se non si promuove l’integrazione, siamo sicuri che si promuova la sicurezza di cui tutti parlano spesso a vanvera?Escludendo bambini e ragazzi? Separandoli alla nascita in cittadini e non cittadini? Non è piuttosto un comportamento discriminante e razzista?
E’ difficile, per me, oggi, spiegare bene questa cosa qui dello ius soli e soprattutto spiegare bene come e perché mi bruci dentro. Ma sono sicuro che è una battaglia giusta. E’ solo questione di tempo: la cittadinanza arriverà per tutti quelli che nascono in Italia. Quello che tanti adulti non capiscono è che è per i loro figli è già così. Per un bambino e un ragazzo di oggi, vivere in un mondo non globalizzato o averne paura, – un mondo non multiculturale, – vuol dire vivere in un mondo passato, vuol dire non vivere nel proprio mondo, ma in un mondo vecchio, sorpassato, superato, con la tv in bianco e nero. Un mondo che, nel bene e nel male, non è più il loro.
Ma è difficile farlo capire agli adulti, soprattutto quelli più vecchi (di testa).
Ci provo con un altro esempio: chi di voi, oggi, caccerebbe Cristiano Ronaldo dalla Juventus perché non è italiano?
Nessuno.
Perché di un giocatore ci interessa come gioca, non da dove viene. E il nostro campionato di calcio di serie A senza i giocatori come lui non sarebbe così bello e colorato come lo è ora. Non sarebbe il “nostro”.
Ecco, per molti bambini e ragazzi di oggi, è la stessa cosa. Una scuola, un tempo, un luogo, un mondo non colorato, non sarebbe il “loro”.
Certo, però, se noi come adulti, magari con l’intento di proteggere i nostri figli e i nostri alunni, cominciamo a far differenze tra uno e l’altro fin da piccoli, a dividerli in cittadini di serie A e serie B, in buoni e cattivi, migliori e peggiori alla nascita, – magari anche con l’aiuto di corsi o scuole private o qualsiasi altra cosa che tendono fondamentalmente a dividere invece che integrare, cercare e soffiare sulle differenze più che sulle uguaglianze e le similitudini, – il rischio è che, senza volere, insegnami ai più giovani, ai nostri alunni, ai nostri figli, magari involontariamente, anche ad essere razzisti.
Perchè la frastornata Sinistra non riprende in mano questo tema forte di giustizia sociale? Ha paura di perdere ancora? Il problema è vincere, perdere o difendere i diritti di tutti e le idee migliori?
Per maggiori informazioni sui due libri vi rimando al mio blog www.ibambiniciparlano.it
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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Continuano gli straordinari successi elettorali dell'area riformista liberaldemocratica,che si ostina a schierarsi sempre indissolubilmente nel campo del centrosinistra senza mai beccare nemmeno un consigliere,cosi' come […]