‘Le immagini della stazione di Bologna, la mattina del 2 agosto 1980, ci hanno restituito un’umanità devastata da una ferocia inimmaginabile, da un terrore che ambiva a pretendersi apocalittico. Il ricordo di quelle vittime è scolpito nella coscienza del nostro popolo. Una ferita insanabile nutre la memoria dell’assassinio commesso”. Così il capo dello Stato, Sergio Mattarella, in una dichiarazione in occasione dell’anniversario della strage di Bologna del 2 agosto del 1980.
«Le immagini della stazione di Bologna, la mattina del 2 agosto 1980, ci hanno restituito un’umanità devastata da una ferocia inimmaginabile, da un terrore che ambiva a pretendersi apocalittico. Il ricordo di quelle vittime è scolpito nella coscienza del nostro popolo. Una ferita insanabile nutre la memoria dell’assassinio commesso – continua – Nel giorno dell’anniversario la Repubblica si stringe ai familiari e alla comunità cittadina con sentimenti di rinnovata solidarietà. Siamo con loro, con le vite innocenti che la barbarie del terrorismo ha voluto spezzare, con violenza cieca, per l’obiettivo eversivo e fallace di destabilizzare le istituzioni della democrazia.
L’Italia ha saputo respingere gli eversori assassini, i loro complici, i cinici registi occulti che coltivavano il disegno di far crescere tensione e paura.
E’ servita la mobilitazione dell’opinione pubblica. E’ servito l’impegno delle istituzioni. La matrice neofascista della strage è stata accertata nei processi e sono venute alla luce coperture e ignobili depistaggi, cui hanno partecipato associazioni segrete e agenti infedeli di apparati dello Stato. La ricerca della verità completa è un dovere che non si estingue, a prescindere dal tempo trascorso. E’ in gioco la credibilità delle istituzioni democratiche.
La città di Bologna, sin dai primi minuti dopo l’attentato, ha mostrato i valori di civiltà che la animano. E con Bologna e l’Emilia-Romagna, l’intera Repubblica avverte la responsabilità di difendere sempre e rafforzare i principi costituzionali di libertà e democrazia che hanno fatto dell’Italia un grande Paese».
Il discorso del sindaco Lepore
“Caro Paolo, cari familiari delle vittime.
In questo 43 esimo anniversario della Strage alla Stazione, come Sindaco di Bologna sono qui ad esprimervi la gratitudine della nostra città e il pieno sostegno. Senza se e senza ma.
Saluto le autorità civili e militari presenti, i tanti sindaci e amministratori venuti da ogni parte d’Italia con i loro gonfaloni e le loro fasce tricolore.
Saluto e chiedo anche a voi di salutare con un grande applauso le scuole presenti, i tanti giovani che ancora una volta hanno riempito il nostro corteo. I tanti studenti e le studentesse, e tra loro uno in particolare che saluto e ringrazio per la sua presenza con noi accanto ai familiari dandogli per il suo primo 2 agosto: Patrick Zaki. Bentornato a casa.
Cari bolognesi, il corteo di quest’anno non è solamente un cammino della memoria, ma un atto di militanza e di impegno.
Noi, siamo qui oggi in migliaia a chiedere due cose molto precise: verità e giustizia.
Purtroppo questo è il primo anno, il primo di 43 lunghi anni, senza Miriam Ridolfi. Anch’io la voglio ricordare questa nostra instancabile e preziosa Miriam.
A Miriam dobbiamo molto.
Quel giorno, Miriam era un giovane Assessora comunale di turno in una Bologna assolata e già in vacanza.
Vista l’assenza del Sindaco Zangheri, toccò infatti a lei poco più che trentenne organizzare in brevissimo tempo la presenza e la risposta del Comune a chi cercava i propri cari tra le macerie, accompagnandoli, offrendo loro il supporto necessario per tutto quanto potesse servire.
Un lavoro incessante e complicato, che valse alla nostra città la medaglia d’oro al valor civile conferita dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
‘La risposta della città di Bologna fu davvero esemplare – ha scritto Miriam, in un libro pubblicato poco prima della sua recente scomparsa – Io, che ho accolto tutti i familiari delle vittime e dei feriti e tutti gli scampati nel Centro di coordinamento istituito in Comune fin dalle 10.40 del 2 agosto, del lavoro di quei giorni ricordo soprattutto i silenzi delle famiglie, lo sgomento dei feriti più lievi e dei coinvolti, e anche l’angoscia di quanti per un caso erano scampati e di chi non avendo notizie dei propri figli temeva che fossero coinvolti.
Feci appello – scrive Miriam – alla radio perché quanti erano in vacanza contattassero i loro cari per tranquillizzarli. E poi il dolore inconsolabile, straziante e muto di chi ha dovuto riconoscere, da qualche brandello di veste o da una fede nuziale, i propri congiunti: ho vissuto direttamente il significato del lutto, quando nessuna ragione ti soccorre, quando ti domandi a vuoto perché, e sai che non si tratta né di malattia né di errore umano.
E così, i familiari delle vittime sono diventati miei familiari.
Ricordo la carezza che il presidente Pertini mi fece poco prima di affiancare il sindaco Zangheri ai funerali del 6 agosto, e il richiamo del sindaco al dovere di svolgere fino in fondo la propria parte.
Tornai a casa per la prima volta la sera del 6 agosto.
Avevo il desiderio incontenibile di abbracciare i miei figli e mia suocera Cesarina che mi aveva sostituito in quei giorni, senza lamentele, senza farmela pagare (…) così, insieme a lei, ho finalmente pianto.
Fu mia suocera a lavare e a conservare il vestito che in tutti quei giorni avevo indossato: me lo restituì molti anni dopo, prima di morire (…) e così l’ho conservato’.
A quella tragica ferita, Miriam ha deciso di dedicare la propria vita.
Direttrice del Liceo Augusto Righi, un ruolo che ha svolto in modo encomiabile, poi la sua collaborazione per le Biblioteche di Bologna, come staffetta della memoria per le scuole.
A lei probabilmente dobbiamo il fatto che da allora, di fronte ad eventi o accadimenti drammatici noi bolognesi d’istinto rispondiamo: come posso aiutare? ci sono, cosa posso fare?
Cara Miriam, a te dobbiamo molto.
Sei stata una partigiana della nostra indomabile resistenza.
Voglio qui ricordare anche un altro grande amico dei familiari delle vittime di questa e purtroppo di altre stragi italiane: il giornalista Andrea Purgatori.
Un giornalista d’inchiesta, che ci ha lasciati pochi giorni fa e tanto ha fatto per la ricerca della verità in questo Paese. A partire dalla strage di Ustica, ma non solo.
Andrea è una persona a cui Bologna deve riconoscenza.
Un cittadino che ha servito la democrazia del nostro paese, difendendolo da depistaggi e bugie delle gerarchie militari e da chi ricopriva posizioni di governo.
In questi giorni, i familiari delle vittime di Ustica ci hanno chiesto di dedicare ad Andrea Purgatori uno spazio nel giardino antistante il museo. Una richiesta alla quale come Comune di Bologna aderiamo volentieri.
Cari cittadini bolognesi, voglio porre a tutti voi una domanda.
Soprattutto voglio rivolgerla ai rappresentanti delle istituzioni che ci ascoltano, ad ogni livello.
Voglio porgere questa mia domanda anche a chi non ci vuole o non ci può ascoltare, ai rappresentanti delle istituzioni di oggi, a quelli di ieri e a quelli di domani.
Quanto valeva la vita dei nostri concittadini italiani morti per strage alla Stazione?
Ditemi, quanto valeva la distruzione della nostra amata città?
Come Sindaco e testimone di parte civile al processo mi è stata posta in un certo qual modo questa tragica domanda.
Secondo il documento “Bologna” ritrovato accuratamente ripiegato nel portafoglio di Licio Gelli, tutto questo dolore valeva 5 milioni di dollari.
5 milioni di dollari?
Era questo il prezzo che eravate disponibili a pagare?
Quanto pesano i nostri corpi, quanto pesano i nostri sogni, l’abbraccio aggrovigliato nei nostri affetti, il buio indicibile in cui avete gettato il nostro paese?
Secondo i giudici che hanno redatto la sentenza dei mandati, 5 milioni è la cifra che il mandate Licio Gelli, capo della loggia massonica P2, ha pagato per organizzare ed eseguire la strage alla Stazione di Bologna che il 2 agosto causò la morte di 85 persone e il ferimento di altre 200.
Una strage eseguita dalle principali sigle del terrorismo e dell’eversione fascista dell’epoca.
Una strage realizzata e rimasta impunita per anni grazie alle connivenze e ai depistaggi, all’interno dei servizi segreti militari e della politica italiana.
La sentenza arrivata nella primavera 2023 che i familiari delle vittime citano nel manifesto di quest’anno, mette finalmente in luce il filo nero che lega gli esecutori materiali della strage ai suoi mandanti.
La sentenza parla infatti della “prova eclatante che la strage non fu frutto dello «spontaneismo armato» di gruppi neofascisti ma attuazione di un piano nel quale i fascisti agirono di concerto con i servizi deviati o con elementi della massoneria”: parla infatti di quello che è stato definito “il documento Bologna”.
Un appunto ritrovato nel portafoglio di Licio Gelli durante il suo arresto, nel quale ci sono indicazioni e cifre pagate in prossimità della strage per pianificarla e attuarla.
Quel pezzo di carta, ricomparso quasi fortuitamente e che si trovava tra i documenti del processo sul Banco Ambrosiano, grazie alla tenacia dei familiari e a uno straordinario lavoro investigativo della Procura Generale e della Guardia di Finanza, ha collegato nomi a flussi di denaro e a precise responsabilità.
Quella di Licio Gelli e dei suoi complici e sodali che agivano nello Stato contro la democrazia.
Lo dice bene la sentenza: mandanti e finanziatori che pur non appartenendo direttamente a gruppi fascisti ne condividevano gli obiettivi antidemocratici, tipici di uno Stato autoritario e l’esclusione dalla politica delle masse popolari.
Poteri occulti egemonizzavano la vita politica del paese nel 1980, sottomettendo la politica ufficiale, costruendo un intreccio di relazioni oscure, miranti a modificare attraverso azioni clandestine ed eversive i destini del paese.
Una rete di relazioni politico-affaristiche tendenti ad assumere il controllo delle istituzioni, della finanza, dei mezzi di comunicazione, per rovesciare dall’interno l’assetto istituzionale.
Una rete che, secondo il Giudice estensore costituisce un vero e proprio: Doppio Stato.
Io vi chiedo di indossare per un momento le lenti di questa sentenza per riguardare la storia del nostro paese. Ne uscirete sconvolti.
Come nel territorio infestato dagli intrecci mafiosi non si può più distinguere lo Stato dall’Antistato, il funzionario leale alla Repubblica da quello corrotto, e così abbiamo assistito per oltre quarant’anni a un eterno processo contro le vittime. Quei familiari che invece lottavano per la verità, insieme alle parti civili, insieme alla Procura generale di Bologna.
Se siamo arrivati alla sentenza sui mandanti lo si deve unicamente al lavoro imponente che hanno portato avanti, con la partecipazione di tante figure che sono anche qui presenti oggi in piazza tra voi e che ringrazio: avvocati e giornalisti di inchiesta, che frammento dopo frammento, hanno portato elementi utili al lavoro inestimabile della Procura generale.
Ma a voi chiedo: chi ha paura della sentenza sui mandanti?
Chiediamocelo insieme.
Perché proprio a gennaio di quest’anno arriva la proposta di istituire una commissione d’inchiesta sulla violenza politica in Italia tra gli anni ‘70 e ‘80 in Italia, da parte del vicepresidente della Camera Fabio Rampelli noto esponente di spicco di Fratelli d’Italia?
Oppure, perché un mese fa viene depositata una proposta simile, con primo firmatario il parlamentare Alfredo Antoniozzi, anche lui dello stesso partito?
Tra i firmatari, anche il deputato Federico Mollicone, autore pochi giorni dopo di una interpellanza alla premier Giorgia Meloni e ai ministri dell’Interno e della Giustizia Nordio, per provare a riaprire – dopo essere stata definitivamente derubricata in sede giudiziaria – la famosa ‘pista palestinese’.
Sempre a maggio di questo anno abbiamo assistito al singolare tentativo di far saltare il processo in Corte d’Assise d’appello all’ex Nar Cavallini per la strage di Bologna, attraverso una interpretazione restrittiva di una regola processuale, come ci ha ricordato lo stesso Paolo Bolognesi. Una lettura avvallata in un primo momento anche dallo stesso ministro della Giustizia Nordio in Parlamento.
Incredibile.
Tutti tentativi che purtroppo non hanno riguardato solo la Strage del 2 agosto, ma anche Ustica, con la ricomposizione della commissione della desecretazione degli atti, cosiddetta commissione Renzi-Draghi, che ha visto l’ingresso dell’Associazione per la verità sulla strage di Ustica, vicina all’ex ministro Giovanardi, impegnata da anni a contrastare – anche qui con la fantomatica pista palestinese – gli esiti di indagini e processi.
Cari cittadini e care cittadine bolognesi, cari italiani e care italiane, sappiate che l’Amministrazione comunale di Bologna e l’Associazione delle vittime dei familiari si è opposta e continuerà ad opporsi a questi continui e nefasti tentativi di ribaltare la verità.
Noi non cederemo di un passo. E continueremo a denunciare chi intende ferire la nostra città e i nostri morti.
Sulla linea che divide la democrazia dall’eversione e dal fascismo, vecchio e nuovo, non arretreremo, al contrario risponderemo con maggior vigore e coscienza più chiara della posta in gioco.
Una posta altissima.
Per questo, a voi tutti, alle migliaia di persone presenti qui oggi in piazza chiedo di essere staffette della memoria.
Come Miriam e come i suoi studenti, generazioni e generazioni appassionate, desiderose di alimentare quella luce che ci guida nel buio.
Quella luce e quella cultura della solidarietà che allora spinsero centinaia di volontari a buttarsi nelle macerie, a scavare con le mani, a mettere a disposizione autobus, taxi, auto private, la propria vita per salvarne altre.
Quella stessa cultura della solidarietà che oggi ci permette di essere qui con la schiena diritta, noi si, con la schiena dritta, 43 anni dopo a batterci per la piena affermazione della giustizia, dei diritti umani e civili ogni qual volta essi vengano violati.
Perché la vita e la libertà di nessuno possono avere un prezzo.
E nessun prezzo può essere pagato.
Cari bolognesi, mi avvio a concludere.
Questo è il mio secondo discorso da Sindaco di Bologna in carica, come sapete il primo Sindaco nato dopo lo scoppio della bomba.
Su di me sento la responsabilità di quanto è accaduto e continua ad accadere. Anche per questo, abbiamo deciso di ospitare presso il Palazzo Comunale la sede dell’Associazione dei familiari delle vittime che in questo primo anno di attività hanno già ospitato centinaia di classi e di scuole.
Presto arriveranno anche gli archivi e il nostro Polo della memoria crescerà, dando nuova linfa al cammino che dobbiamo percorrere assieme.
Ma il nostro compito come città è ancora più grande. Spetta a noi, sí a Bologna, il compito di ravvivare quella partecipazione popolare che le bombe della strategia della tensione avrebbero voluto spegnere.
È grazie a questa partecipazione che Bologna potrà rimanere baluardo delle libertà civili, dei diritti umani e della democrazia.
Bologna città della solidarietà.
Bologna Medaglia d’oro della Resistenza e del valor civile.
Come Antigone Bologna ha sfidato il potere dando degna sepoltura ai propri morti, raccontando le loro vite.
85 morti, 85 viaggi da completare come se fossero ancora vivi, come ci ha raccontato il bellissimo film documentario “Quel dolore non è immobile” proiettato ieri sera in Piazza Maggiore da un’idea dell’Associazione dei familiari, per la regia di Giulia Giapponesi e l’idea di Cinzia Venturoli.
Quel dolore non è immobile, ha scritto Miriam Ridolfi in una delle sue ultime storie. Il suo testamento morale.
Perché come ha scritto il poeta Franco Arminio
Alla fine dei tuoi giorni
resteranno
le tue imprudenze,
più che gli indugi
resteranno
i canti.
Resteranno i canti.
I canti di Miriam, di Andrea, di Paolo, di Giulia, di Cinzia i canti dei familiari, degli studenti e delle studentesse, di chi indossa ancora dopo 43 anni un fiore bianco all’occhiello, i canti di noi tutti qui che ci siamo raccolti in questa piazza in attesa di un triplice fischio e di un silenzio infinito.
Questo lasceremo ai nostri figli i nostri canti e le nostre lotte.
Ma sicuramente un paese più giusto e un paese più vero.
Questo è solo l’inizio”.
Il discorso del presidente Paolo Bolognesi a nome dell’Associazione tra i famigliari delle vittime“ ‘Una strage politica frutto non dell’esaltazione criminale di una banda di neofascisti, disponibili per fanatismo agli atti più efferati, ma di un progetto politico e criminale di ampia portata radicato ai vertici della loggia massonica P2 e sostenuto dalla complicità, dai silenzi, dalle omissioni di chi aveva la possibilità di sapere e impedire ma non lo fece perché era di fatto al servizio di chi sostenne, finanziò e promosse la strage’. Così scrivono nelle motivazioni i giudici che hanno condannato in primo grado il neofascista Paolo Bellini quale quinto esecutore materiale della strage, l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, quale depistatore e Domenico Catracchia, l’amministratore del condominio di via Gradoli, caro, quale favoreggiatore, a Brigate Rosse e ai terroristi neri dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari). Poi ci sono le responsabilità dei capi piduisti Licio Gelli e Umberto Ortolani, il capo del Servizi Segreti Federico Umberto D’Amato e il potente giornalista ed ex senatore del partito MSI (Movimento Sociale Italiano) Mario Tedeschi: mandanti, organizzatori e depistatori riconosciuti, coinvolti nel progetto eversivo e stragista anche se deceduti.
Il quadro, così ricostruito dai magistrati e dagli storici più seri, è sempre più completo: l’attentato che il 2 agosto 1980 causò 85 morti e 200 feriti fu voluto dalla P2 e dal lato più oscuro interno alle istituzioni, eseguito dai neofascisti e coperto da esponenti dei Servizi Segreti. Si scelse di agire il primo sabato di agosto, come sei anni prima per la strage del treno Italicus.
Una scelta emblematica come emblematica fu la decisione di colpire, ancora una volta e ancora più violentemente, la nostra città, roccaforte del Partito Comunista e da sempre portatrice di valori progressisti e democratici. Il primo magistrato ad aver intuito che dietro alle stragi c’era la mano dell’eversione di destra, della massoneria e dei Servizi Segreti era stato Vittorio Occorsio, che per questo fu assassinato nel 1976 dal killer nero Pierluigi Concutelli. In carcere, Concutelli uccise poi due camerati, Ermanno Buzzi e Carmine Palladino, che si erano mostrati disponibili a svelare i retroscena rispettivamente della strage di Brescia e della strage di Bologna. Concutelli è morto quest’anno, di morte naturale e non in carcere, una morte, la sua, che non desta sospetti a differenza di quelle recenti di Sergio Picciafuoco e di Stefano Sparti. Concutelli non ha mai rivelato ciò che sapeva. Ai funerali, la sua bara è stata avvolta in una bandiera tricolore, come se si trattasse di un patriota. Si trattava invece di un assassino neofascista, idolo dei capi dei NAR Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. E sono stati proprio Mambro e Fioravanti i mandanti dell’omicidio di Mario Amato, il magistrato coraggioso che, da solo, indagava sulla destra eversiva e sui suoi collegamenti.
Mario Amato aveva ben compreso la cosiddetta ‘strategia del leopardo’ dell’estrema destra: mostrarsi divisi in una miriade di sigle apparentemente rivali, per poi compattarsi in occasione di azioni criminali. Mario Amato, assassinato dagli stessi autori della strage di Bologna, dei quali aveva intuito lo spessore criminale e la pericolosità, pochi giorni prima di morire, in un’audizione presso il Consiglio Superiore della Magistratura, aveva denunciato l’esigenza di impegnarsi a trovare chi armava la mano dei giovani neofascisti, ben poco spontaneisti, come volevano farsi credere.
Mario Amato ha pagato con la vita il fatto di avere intuito quello che l’ultima sentenza sulla strage del 2 agosto 1980 ha definitivamente sancito: la definizione di ‘spontaneismo armato’ auto-attribuita dai NAR a loro stessi è una colossale menzogna. I NAR e le altre sigle dell’eversione neofascista(Avanguardia Nazionale, Terza Posizione e Ordine Nuovo) agivano grazie all’appoggio di uomini dello Stato e dei vertici politici dello stesso, in spregio della tutela della vita umana, dell’incolumità dei cittadini italiani e della democrazia. Nessuno spontaneismo armato, quindi, ma un deliberato tentativo di ricomposizione della galassia neofascista, un unico filo dello stragismo, inaugurato nel 1969 a Milano, con la strage di piazza Fontana. Sopra quella galassia ci sono i mandanti, il livello superiore che finanzia, sostiene, depista.
E quel livello superiore, la parte sporca dello Stato, non abbandona mai i propri sicari.
Nel 1994, all’indomani dell’insediamento del primo governo di centrodestra, Mambro e Fioravanti, all’epoca gli unici due esecutori materiali accertati della strage di Bologna, rilasciarono al più diffuso quotidiano nazionale una lunga intervista dal sapore ricattatorio, così intitolata: ‘Loro al governo noi all’ergastolo’, in cui ricordavano il differente destino loro e dei loro camerati di qualche anno prima.
Da quel momento, le porte del carcere per i due terroristi si sono spalancate, per non richiudersi mai più. Mambro e Fioravanti, colpevoli di strage, di una dozzina di singoli omicidi ciascuno, di innumerevoli altri reati, dal falso alla rapina, all’occultamento di cadavere, condannati rispettivamente a 7 e 9 ergastoli e a più di 200 anni di carcere, sono riusciti a scontare solo due mesi per ogni morte causata e da più di un decennio sono completamente liberi. Senza pentirsi, senza dissociarsi, senza collaborare minimamente con la giustizia, ma anzi gettando fango su una delle vittime della strage del 2 agosto, con l’appoggio del deputato di Alleanza Nazionale Enzo Raisi e tradendo il perdono concesso da una parente di una vittima.
Nel 2007, all’indomani della condanna del terzo esecutore materiale della strage, Luigi Ciavardini, il solito baraccone della disinformazione innocentista e depistante si era attivato sui media per rassicurare in carcere Ciavardini e nel discorso pronunciato da questa piazza avevamo denunciato come il messaggio a lui lanciato sembrava essere questo: ‘Stai calmo, dichiarati innocente, non parlare dei retroscena della strage, fai come Mambro e Fioravanti e vedrai che come loro, avrai davanti a te una brevissima carcerazione e una lunga carriera’.
I fatti ci hanno dato ragione.
Come hanno svelato la trasmissione Report e altre inchieste giornalistiche, da anni Luigi Ciavardini dirige un’associazione diventata leader nella gestione dei detenuti e attraverso la quale è uscito anticipatamente dal carcere anche il 4º esecutore materiale della strage di Bologna condannato in primo grado: Gilberto Cavallini.
Mentre, infatti, Luigi Ciavardini era chiamato a rendere testimonianza nel processo di primo grado a carico di Gilberto Cavallini per il reato di strage alla stazione di Bologna, Gilberto Cavallini eseguiva la misura alternativa della semilibertà, svolgendo il lavoro esterno presso le Cooperative del Ciavardini stabilite per la prima volta a Terni.
Luigi Ciavardini attualmente è imputato del reato di falsa testimonianza aggravata davanti al Tribunale di Bologna.
Appare evidente come i legami tra i due ex terroristi siano ancora attuali e saldi nel proteggersi e a garantire il silenzio su ciò che conoscono, superando addirittura le mura carcerarie.
Report e i giornalisti Ranucci, Mondani, Mottola e Andrea Palladino – che ringraziamo e ai quali esprimiamo la più piena solidarietà – sono stati oggetto di attacchi pesantissimi per aver mostrato che la rete dell’eversione di destra è riuscita negli anni a liberare assassini dando loro anche la possibilità di guadagnare milioni di euro attraverso le onlus nelle carceri e mettere nei posti chiave persone che non si sono mai pentite per i loro atroci e gravissimi atti criminali.
Le connessioni più che allarmanti che legano ancora oggi personaggi di potere e camerati di un tempo, spiegano facilmente perché nei confronti degli stragisti neri del 2 agosto non si invochi mai il tema della certezza della pena.
Gli esecutori materiali della strage di Bologna, grazie alle altissime protezioni politiche e mediatiche di cui godono, non hanno neppure avuto bisogno di scappare in Francia per ottenere l’impunità.
E l’impunità è alla base della distruzione di ogni democrazia.
Nel manifesto di quest’anno abbiamo scritto:
‘Bologna 2 Agosto 1980: un ponte tra la strategia della tensione e le bombe del 1992-93’.
Infatti la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 fa parte della strategia della tensione, nonostante alcuni pseudo storici si sforzino di negarlo: metodologie, personaggi implicati, esecutori materiali e loro protettori sono gli stessi, in un susseguirsi di attentati, protezioni dei Servizi Segreti italiani e depistaggi insistenti di vari settori ai vertici dello stato italiano.
Con le ultime sentenze del processo Cavallini e del processo ai mandanti, i collegamenti con le stragi del 92- 93 si sono fatti più evidenti e le stesse Procure che indagano su quelle stragi si stanno interessando a personaggi implicati in prima persona nella strage di Bologna.
Questo dimostra la continuità delle stragi del 92- 93 con tutta la strategia della tensione.
L’anno scorso con l’ultima sentenza relativa al processo ai mandanti abbiamo sintetizzato nel manifesto quei risultati:
‘La sentenza di primo grado del processo ai mandanti conferma:
la strage è stata ideata dai vertici della loggia massonica P2 è stata protetta dai vertici dei servizi segreti italiani eseguita da terroristi fascisti’.
Vi sono molti che non riescono a capacitarsi che si sia potuti arrivare alla scoperta di un livello così elevato di compromissioni. Infatti, oltre ad averne parlato pochissimo (i telegiornali nazionali solo il giorno del deposito della motivazione altrettanto i giornali, ma non tutti) ci si è guardati bene dal trarre tutte le conseguenze di simili risultati. Sembra quasi che negli ultimi processi si sia parlato di uno Stato, probabilmente del Sud America e non dell’Italia.
Ci sono altri fatti, accaduti anche dopo il deposito delle motivazioni della sentenza, che dimostrano le alte e squallide complicità di cui godono i terroristi fascisti: gli ultimi documenti desecretati annullano ogni speranza per i sostenitori della pista palestinese. Se ce ne fosse ancora bisogno è bene dirlo chiaramente: ipalestinesi o i loro vicini Libanesi, o i Libici, non hanno nulla a che fare con la strage di Bologna del 2 agosto 1980.
La pista palestinese è un enorme depistaggio tenuto in piedi per anni da una pletora di personaggi di diversa estrazione non solo fascista: giornalisti, pseudo storici e parolai. C’è addirittura chi, talmente affascinato dalla pista palestinese, ha voluto addebitare a loro sia il delitto Moro, sia l’abbattimento del DC9 di Ustica, sia la strage del 2 agosto.
Naturalmente non mancano personaggi politici in questa grande fiera del depistaggio, anche informativo.
È chiaro che, finché un documento è segreto, chi è interessato e in malafede può scrivervi/scrivere quello che vuole ed è questo che alcuni hanno fatto.
Un documento del capocentro di Beirut il colonnello Giovannone datato giugno 1981, contenente una blanda minaccia di dirottamento aereo, è stato preso a supporto della pista palestinese: cambiando erroneamente (per caso) la data in giugno del 1980.
La desecretazione ha fatto scoprire l’arcano e anche il Senatore Giovanardi, uno dei più assertivi sostenitori di quella pista, ha dovuto riconoscere la data del documento, 1981, e l’errore commesso: il documento è posteriore di un anno all’abbattimento dell’aereo di Ustica e alla strage della stazione di Bologna. Non abbiamo ricevuto scuse al riguardo per gli anni in cui abbiamo dovuto sentire le sue assurde certezze e quelle di altri Deputati e Senatori di pari livello.
Ma era necessario soccorrere i sostenitori della pista palestinese e cercare di fare naufragare tutto quanto era stato scoperto fino a questo momento.
All’apertura del processo d’Appello per il terrorista Cavallini, esecutore della strage condannato all’ergastolo in primo grado ed esecutore materiale dell’uccisione del Sostituto Procuratore della Repubblica Mario Amato, i suoi difensori hanno chiesto la nullità del processo di primo grado: la motivazione era che quattro giudici popolari nel corso del processo avevano compiuto 65 anni. Avevano, infatti, preso spunto dal casuale provvidenziale annullamento compiuto dalle Corti di Assise d’appello di Palermo e di Messina, che avevano operato secondo la legge del 1951 che regola la nomina dei giudici popolari e che prevede che debbano avere meno di 65 anni al momento della nomina e non durante tutto il processo.
In soccorso a questa tesi temeraria e assurda, perché in contrasto con l’articolo 25 della Costituzione, è intervenuto l’odierno Ministro della Giustizia Carlo Nordio, il quale nel Question Time in Parlamento, il 16 febbraio scorso, affermava falsamente l’esistenza di una pronuncia a Sezioni Unite della Cassazione in materia e di una giurisprudenza costante che in realtà non è mai esistita. Queste affermazioni menzognere non sono state smentite né rettificate. Questo da l’idea di una impunità assoluta: un ministro, senza subire nessuna conseguenza, fa dichiarazioni mendaci in Parlamento su un tema che può portare a tutelare efferati terroristi fascisti che hanno compiuto la strage alla stazione di Bologna. Un ministro della Repubblica, per proteggere degli efferati terroristi, mente spudoratamente al Parlamento.
Una vera vergogna! Che squalifica anche il ruolo del Parlamento stesso.
La seconda sezione della Corte di Cassazione ha rimesso le cose a posto confermando quanto previsto dalla legge e l’annullamento del processo di primo grado non si è determinato.
Le conseguenze di questa operazione, se fosse andata in porto, sarebbero state gravissime. Con l’annullamento del primo grado avremmo perso anni di lavoro giudiziario con un dispendio di forze immani e con la seria possibilità della perdita di tutto il lavoro svolto.
Voglio far notare che tutto questo tempo, 43 anni, è passato a causa dei plurimi depistaggi a favore dei NAR e delle altre formazioni criminali fasciste, commessi da uomini dei Servizi Segreti infedeli alla Costituzione repubblicana e da apparati delle istituzioni fra i quali politici e anche uomini della Magistratura italiana.
L’aberrante condotta dell’ex Procuratore di Bologna Ugo Sisti, ben descritta nelle recenti motivazioni della sentenza sui mandanti, ne è la prova.
Per difendere la nostra democrazia, per perseguire Giustizia e Verità, 42 anni fa, noi parenti
delle vittime della strage del 2 agosto ci siamo uniti in associazione.
Uno degli impegni per noi più importanti, è continuare ad andare nelle scuole per parlare al nostro futuro, ai bambini e ai ragazzi, per contrastare il degrado culturale che li assedia, attraverso il racconto della storia del nostro Paese.
Ai più piccoli riesce difficile capire come mai chi ha voluto ed eseguito la strage di Bologna e causato la morte di tanti innocenti, si trovi in libertà, “nonostante” i crimini atroci commessi.
Ai più grandi, è fin troppo facile capire che chi ha voluto ed eseguito la strage di Bologna, si trova in libertà e prospera “proprio perché” ha commesso quegli atroci crimini.
Alcuni di loro ci chiedono in che modo noi familiari abbiamo fatto a resistere alla tentazione della vendetta.
Noi rispondiamo che, se avessimo imboccato la via del rancore e dell’odio, non solo saremmo andati contro la nostra natura, ma avremmo già perso in partenza. A chi ha voluto distruggere e condizionare con la violenza la nostra democrazia non va opposta altra violenza, ma la volontà di costruire e la determinazione di creare una società migliore, non attraverso gesti eclatanti, ma attraverso un’attività quotidiana, semplice, di chi contribuisce a fare la propria parte al meglio delle sue possibilità. Perché la democrazia si costruisce e difende ogni giorno, insieme.
Quarantatré anni fa Bologna fu colpita al cuore. Quell’atto fu il più grande, vigliacco e disumano tradimento della democrazia, delle sue istituzioni e dei cittadini della Repubblica, operato da quella parte dei vertici delle istituzioni e della politica che non si è mai identificata nei valori della Costituzione nata dalla Resistenza.
Quel 2 agosto 1980 abbiamo visto quali abissi di abiezione possa raggiungere il desiderio di denaro e potere, ma abbiamo anche visto di quanta generosità e bellezza sono stati capaci i nostri concittadini: abbiamo visto medici rientrare dalle ferie per prestare soccorso, passanti trasformarsi in infermieri per aiutare i feriti, cittadini che scavavano con le mani tra le macerie per salvare vite umane.
Agide Melloni, l’autista che quel giorno guidò ininterrottamente per ore ed ore il bus 37 trasformato in obitorio di emergenza, ha dichiarato in un’intervista: ‘Vorrei che si ricordasse quello che la gente semplice ha fatto quel giorno e tutto quello che continua a fare’. Noi non dimentichiamo: i magistrati coraggiosi, gli inquirenti onesti e determinati, la parte sana delle istituzioni, i nostri avvocati di parte civile e soprattutto i tanti cittadini che non si sono mai arresi e continuano, al nostro fianco, a fare la propria parte. Ci vuole tempo e pazienza.
La nostra è una rivoluzione non violenta, spesso silenziata, ma inarrestabile, una rivoluzione che ha bisogno di ciascuno di noi e che ciascuno di noi scelga ogni giorno di dare il meglio di sé.
Una rivoluzione lenta, ma inesorabile che non potrà essere ignorata.
Vogliamo ricordare con grande affetto e riconoscenza Miriam Ridolfi, assessora del comune di Bologna di turno il 2 agosto 80 che mise a punto il Centro di Coordinamento per le vittime e ci aiutò nella costituzione della nostra Associazione. Miriam è stata costantemente al nostro fianco fino al momento in cui ci ha lasciato; una grande Donna che ha fatto onore alla nostra città.
Questa piazza, piena di tantissime persone che ogni anno fanno di tutto per esserci, questo luogo questo orologio fermo all’ora della strage, sono la dimostrazione che siamo dalla parte giusta e che ci saremo sempre perché vogliamo che l’Italia sia questa e che la legalità, la giustizia, la verità, la trasparenza non siano solo richieste dei familiari delle vittime, ma di grandissima parte del Paese che ogni giorno ha scelto da che parte stare.
Grazie per essere al nostro fianco! Grazie perché questo è il Paese che resiste!”.
Ultimi commenti
Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]