Il premierato usato a mo’ di randello, la Costituzione va salvata

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di Luigi Bottazzi

Il premierato, mi sia consentito dire, guardando la storia di molti paesi nel mondo, a partire da quelli occidentali, è un vecchio marchingegno, reperito nei depositi polverosi di una cultura politica d’altri tempi e riverniciata per l’occasione, per quanto la storia l’ abbia già condannata, senza appello. Nulla a che vedere, sia chiaro, con la nostra contemporaneità, con la possibilità di governare, nel senso proprio del termine, un mondo attraversato da trasformazioni imponenti e talmente accelerate da rubarci il tempo. La saggezza direbbe che le difficoltà di governare non si risolvono con le complicazioni istituzionali.

E’ come se nelle viscere della storia, in quegli spazi imponderabili in cui la memoria ed i tempi lunghi della vicenda umana si intrecciano con la bruciante attualità dell’accadere ed i tempi brevi, l’immediatezza di fatti, rovesciamenti, strappi che ci sorprendono, si fosse acceso un fuoco che divora i nostri giorni e ci sospinge verso una stagione di cui intravediamo solo una sagoma confusa, eppure prossima più di quanto non siamo disposti ad ammettere.

Alcuni parlano di complessità cioè, ricorrendo ad una delle parole magiche oggi più diffuse. Parole che sembrano dire tutto, ma, in effetti, stendono un velo pietoso sulla nostra incapacità di cogliere i nodi e le criticità autentiche che ci incalzano e che sono dietro l’angolo. Oppure, da qualche tempo a questa parte, confidiamo nel talismano dell’Intelligenza Artificiale e, ad un tempo, la temiamo, in un alternarsi confuso di suggestioni e di sentimenti che vanno riportati, sia pure con la costanza di un paziente lavoro collettivo, alla misura ragionevole di una prudente oggettività.

Chi pensa che questo momento magmatico, confuso, sfuggente, che sembra scivolarci dalle mani, eppure è così potenzialmente creativo, possa essere affidato al “comando” di un potere sovraordinato, che, di fatto, prescinde da un “discorso pubblico” partecipato, corale, capace di coinvolgere le menti, le coscienze, la responsabilità personale di una vasta platea di cittadini, è del tutto fuori strada. E fa sfoggio, per quanta sicumera ci metta, solo e soltanto della propria sostanziale incultura politica. Il governo attuale sostiene che, grazie alla riforma costituzionale all’esame del Parlamento, gli italiani potranno contare davvero e finalmente “decidere” da chi essere governati. E’ vero esattamente il contrario. Non è più il tempo di fare i furbi in una materia così delicata per la vita e il destino democratico della nostra comunità nazionale.
Gli italiani vengono scippati e privati del pieno esercizio del primo e fondamentale diritto di cittadinanza. A loro si chiede – “una tantum” – una delega globale, a valere per i cinque anni successivi, al solito, stucchevole “capo”, al cosiddetto e presunto “uomo o donna forte”. Di fatto diventa una delega in bianco, che li confina nel ruolo di spettatori impotenti dei fasti di un potere che, soggiogato di fatto il Parlamento- che purtroppo già vediamo non di grande livello, e compromesso il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica, celebra sé stesso, a volte con sicumera, in virtù di una netta cesura con le regole dell’ordinamento democratico, parlamentare e rappresentativo, che la Costituzione ci ha fin qui garantito.

Ci stiamo infilando in un mondo  a rovescio e paghiamo il prezzo di essere governati da partiti , lontani da una reale, convinta, vissuta cultura democratica, ispirati, piuttosto, ad un principio d’autorità, che, quando parla di governo, intende “comando”, cioè tutt’altra cosa. Un mondo al contrario, nel quale le riforme istituzionali, anziché rappresentare un momento di riflessione comune, di alto livello come erano i “costituenti”, che coinvolga forze politiche, formazioni sociali ed espressioni culturali, che vengono assunte come clava per estremizzare una polarizzazione ricercata e volutamente diretta a spaccare l’Italia in due.

Il premierato, per dirla in estrema sintesi, altro non è se non il randello con cui la classe politica dominante cerca di inchiodare il Paese alla propria egemonia.

(Luigi Bottazzi – ex consigliere regionale del Ppi)



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