Modena umiliata

Fassino, Fedeli, Lorenzin. Praticamente azzerate le indicazioni della federazione, con un direttivo spaccato e un segretario costretto a balbettare frasi in italiano faticoso del tipo "non sono state considerate le nostre valenze". Questo è il Pd di Modena, oggi. Una città e una provincia che esprimono il governatore della Regione Emilia-Romagna (Stefano Bonaccini) e uno dei più stretti collaboratori storici del segretario (Matteo Richetti).
 
La Gazzetta di Modena – proprietà De Benedetti, non esattamente estrema destra – spara a zero e scrive del punto più basso mai toccato nella rappresentanza del centrosinistra locale. "Umiliazione", "affronto", "disastro": il tono generale dei commenti in città non si discosta da un senso diffuso di sdegno.
 
A Reggio Emilia, 27 chilometri di distanza dalla Ghirlandina, il sindaco pd Luca Vecchi si incarica di lamentare l’esclusione del deputato Gandolfi dopo una sola legislatura. Ma la partita del campanile questa volta è stravinta. Reggiani doc sono Delrio, Iori, Incerti, Rossi – tutti con alta probabilità di elezione. A meno che.
 
A meno che nel Pd emiliano nei prossimi giorni non ci si abbandoni alla deriva sconfittista o, peggio, alla dissoluzione delle basi portanti dell’ultimo progetto politico costruito in Italia prima dell’ingresso nel tunnel della crisi (2008, anno fatale).
 
Nonostante l’economia del paese registri qualche segno di risveglio, e un bilancio di riforme tra luci ed ombre non irrilevante, l’ondata rabbiosa verso Matteo Renzi e ciò che la sua leadership porta con sé ha preso la forza di uno tsunami e muove veloce verso la costa coinvolgendo avversari, nemici, ex amici e amici che ex si apprestano a diventare.
 
L’ex premier ha reso visita a Modena più volte nel corso della legislatura. Modena è un simbolo dell’Italia che vuole farcela, dal dramma del terremoto ai numeri di una ripresa che fanno oggi di questa terra la locomotiva d’Italia. Modena e la sua provincia dovrebbero essere una realtà-modello del buon governo democratico da esibire all’elettorato.
 
Invece no, tutto al contrario. La Lorenzin, cresciuta all’ombra del berlusconismo, rischia una campagna elettorale perlomeno imbarazzante, a rappresentare lo scarto tra storia e sensibilità di un territorio con le logiche dello scambio del politicismo di Palazzo. All’orizzonte si intravvede una linea plumbea: sia un’allucinazione o uno tsunami lo scopriremo presto.