La pancia

La terz’ultima settimana prima del voto si apre con la scoperta furbetti a 5 stelle, caso emerso prima a livello locale e poi tracimato sul piano giornalistico attraverso un servizio delle Iene. Anziché versare la quota dovuta al fondo per il microcredito a favore delle Pmi, uno dei cavalli di battaglia del Movimento, alcuni parlamentari ricorrevano all’escamotage del bonifico prima inviato e poi ritirato entro le 24 ore pur di apparire in regola con i versamenti, e al contrario incassando per sé stessi le quote promesse. L’aspetto interessante della vicenda è che i due soggetti coinvolti corrono tuttora – e in ottima posizione – per la rielezione in Parlamento. Secondo le Iene, che hanno dato la parola a un grillino delatore sotto anonimato, i casi analoghi sarebbero “in doppia cifra” e sarebbero coinvolti anche parlamentari emiliani.

 
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La vicenda in sé sarebbe derubricabile alle mille furberie cui la politica tradizionale ci ha abituati. Ma la supposta e largamente pubblicizzata diversità del Movimento sul tema della fatidica “onestà” inizia a traballare di fronte a casi come questo. Se passi anni a fare la morale agli altri, devi essere senza macchia. E qui qualche macchietta comincia a emergere.
 
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Vengono alla mente le decine o centinaia di casi in cui l’avvento della Seconda Repubblica, sorta dalle macerie morali della Prima e sull’onda dell’indignazione generale causa la scoperta delle tangenti che finivano nelle tasche dei partiti, ha mostrato fenomeni non mano gravi (anzi!) senza che nel Paese si affermasse in pieno, almeno nella classe politica, un’etica e un rigore tali da consentire all’elettorato di potersi fidare. Non è così. Riemergono i vizi dell’Italietta di sempre: trasformista, furbista, priva di scrupoli e di ancoraggi sinceri alla convivenza comune secondo basi fiduciarie di cultura e di costume.
 
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Nondimeno, i Cinquestelle e soprattutto la coalizione di centrodestra sembrano avviati verso una larga vittoria alle elezioni del 4 marzo. Immigrazione, sicurezza, regressione di status del ceto medio che fu e la progressiva ormai assodata che non si tornerà più ai fasti del miracolo economico e degli anni Ottanta ha confezionato un mix esplosivo destinato a deflagrare non appena chiuse le urne. Gli italiani non credono ai politici, tantomeno si fidano delle roboanti promesse dei partiti o di ciò che di essi è rimasto (solo Pd e Lega conservano qualcosa dell’organizzazione tradizionale della forma-partito; Forza Italia e M5S vanno considerati a tutti gli effetti partiti-azienda). Dunque, essi voteranno di pancia, voteranno contro e non per, a dispetto di una stagione di governo a trazione democratica dove qualche risultato, anche grazie a circostanze favorevoli sul piano dell’economia internazionale, è stato portato a casa.
 
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I sondaggi, per quel che valgono, stanno per chiudersi dinanzi allo stop elettorale. Le risultanze univoche che ne derivano indicano un centrodestra avvantaggiato di almeno dieci punti sia sul M5S, sia sulla coalizione di centrosinistra. Nel Pd, vittima di una scissione dalle conseguenze assai pesanti, si prepara la resa dei conti che ha nel segretario Matteo Renzi il capro espiatorio di turno. In meno di tre anni Renzi ha dissipato un patrimonio di fiducia che molti italiani gli avevano concesso, complice il declino di un Berlusconi allora travolto dagli scandali e confinato all’assistenza agli anziani di Cesano Boscone. Il giovane leader fiorentino ha commesso errori di sufficienza, ha sbagliato completamente l’impostazione del referendum sulle riforme costituzionali, si è inimicato le aree più riottose del partito, non ha saputo estendere una visione inclusiva dell’area di governo davanti a un paese per niente uscito dalla crisi se non nella sua individuale percezione. Ora, la leadership di Renzi danza sul filo tra il 20 e il 25%. Un risultato al di sotto della percentuale conquistata da Bersani cinque anni fa ne provocherebbe probabilmente le immediate dimissioni e terremoterebbe i fragili equilibri sui quali negli ultimi tempi ha poggiato il suo partito. Renzi ha riempito di fedelissimi le liste elettorali e con esse, va da sé, potrebbe muoversi autonomamente nel nuovo Parlamento. Chi gli è vicino gli ha sentito dire più volte: “Dopo il voto, mi dimetto e sparisco per due anni”. Ma questi sono solo rumours.

 
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La frana del centrosinistra dovrebbe interrompersi giusto da queste parti, nel tratto di pianura che costeggia la via Emilia. I collegi uninominali tra Reggio, Modena, Bologna e Ferrara non sono a rischio – sempre secondo i citati sondaggi. Elezione tranquilla, dunque, per i protagonisti del centrosinistra emiliano, o quasi. Nel resto del paese si profila invece un’ecatombe tutta a favore del centrodestra. Nel maggioritario, Salvini e Berlusconi faranno incetta di collegi da Veneto alla Lombardia alla Sicilia. Proprio la quota di eletti nel maggioritario potrebbe fare la differenza sui numeri dei seggi alla Camera e soprattutto al Senato, il che chiuderebbe definitivamente la porta all’ipotesi di un governo di larghe intese. La sola alla quale ragionevolmente possano aspirare oggi Renzi e i Dem.

 
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I Cinquestelle hanno puntato tutto sull’onda d’urto del primo partito nel proporzionale. Il disegno di Di Maio, peraltro già ampiamente anticipato, è semplice: qualora il Movimento risultasse il primo partito (il che è quasi certo) al presidente Mattarella toccherebbe incaricare il giovanissimo leader di Pomigliano d’Arco quanto meno per un mandato esplorativo. I numeri avranno come sempre la loro importanza. Se si trattasse di un plebiscito per i grillini, diciamo intorno al 35%, la richiesta di Di Maio assumerebbe una forza plausibilmente considerabile dal capo dello Stato. Ma se il risultato dei pentastellati si fermasse al 25-27% il tetto per la conquista di una maggioranza si farebbe irraggiungibile, e i possibili soccorsi esterni difficilmente praticabili. 
 
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Situazione locale. 

 
La desolazione estetica degli spazi elettorali sparsi ovunque e irrimediabilmente privi di manifesti danno buon conto dei ritardi con cui le istituzioni si dimostrano in grado di cogliere il cambiamento epocale segnato dall’avvento della tecnologia. Le campagne elettorali si disputano via internet, sui social, nelle tv, ma non certo nei comizi o nella cara buona vecchia cartellonistica, oggi al massimo presa in considerazione da writers e imbrattatori vari. Il crollo delle vendite dei giornali ne accompagna l’indebolimento della funzione di formazione dell’opinione pubblica, tratto che in sé non rappresenta per forza una buona notizia. Web e progresso non sono il male assoluto, anzi: occorre tuttavia non uscire dalla corrente, mantenere freschezza e ricchezza di contenuti (sempre che i contenuti vi siano) e accettare con pazienza e buona lena di imparare le nuove regole del gioco. Il politico medio (con le dovute eccezioni, tra di esse certamente la gran parte dei Cinquestelle) ha iniziato a masticare la rete da poco tempo, è scarsamente preparata, in genere crede di essere in grado di comunicare in modo efficace anche quando non lo è. I risultati si vedono.
 
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In attesa della stangata del 4 marzo, a Reggio Prudencio e compagnia sono già proiettati sulle elezioni comunali del 2019. La preoccupazione non manca, visto che questa volta – forse è il primo caso nell’era repubblicana – il rischio di un’elezione del sindaco al ballottaggio potrebbe farsi assai concreta in seguito al ridimensionamento numerico del centrosinistra tradizionale.

 
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Prudencio conta naturalmente sulla solida alleanza con ciò che a quel punto si troverà alla sua sinistra (Tutino, se non sarà eletto in Parlamento, o chi per lui). Ma non è affatto certo che una maggioranza di sinistra-centro possa conquistare il 50% più uno al primo turno.

 
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Finora il migliore alleato del centrosinistra sono stati gli avversari, incapaci di agire in una logica unitaria e di norma capaci di ambire al solo inutile strapuntino in consiglio generale. Nel 2019, con il centrodestra probabilmente al governo e in un quadro politico profondamente modificato, altre forze e altri soggetti si potrebbero muovere sul terreno del voto locale. Non tanto in una logica di schieramento, ma senz’altro in una prospettiva genericamente civica. Basterebbe una lista di centrosinistra separata dal blocco-Prudencio per sottrargli quei tre-quattro punti necessari per ambire alla rielezione. Il sindaco lo sa e si è messo a sondare il terreno.