I difensori all’attacco

Avvocati contro giornalisti. E viceversa.
 
Un effetto indesiderato del processo Aemilia è rappresentato dalle periodiche scintille tra Camere Penali da un lato, Ordine e Sindacato dei Giornalisti dall’altro, che scoccano quando fatti, articoli e notizie toccano temi sensibili al conflitto d’interessi che separa le due categorie.
 
Il conflitto d’interessi è evidente e inevitabile.
 
Le Camere Penali sono libere associazioni che in ogni città e regione raggruppano e tutelano gli avvocati difensori nel procedimento penale. Fondamentale per loro è “la cultura delle garanzie che si fonda sulla presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva, su di un processo che deve essere celebrato in tempi ragionevoli nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità davanti ad un giudice imparziale”.
 
Paradossalmente non turberebbe le Camere Penali se nei primi due anni del rito ordinario nel processo Aemilia non fosse uscito neppure un articolo sulla stampa locale e nazionale. La prima e vera notizia utile sarà la sentenza e per quella c’è ancora da attendere qualche mese.
 
Sull’altro versante Ordine e Sindacato rappresentano i giornalisti iscritti, che difendono prima di tutto “il diritto all’informazione e la libertà di opinione di ogni persona” e che per questo fine “ricercano, elaborano e diffondono ogni dato o notizia di pubblico interesse”.
 
Paradossalmente la sentenza di Aemilia è per i giornalisti solo uno, e tra gli ultimi, dei tantissimi “dati di pubblico interesse” emersi dalle udienze del processo. Quelli narrati sino ad oggi, che consentono di avere percezione dell’enorme problema rappresentato dalla penetrazione della ‘ndrangheta nel territorio, non sono meno importanti o significativi in riferimento ai diritti e ai doveri del giornalista.
 
Basterebbe prendere atto di questa diversità di missione per evitare molte cadute di stile ed invasioni di campo, ma la voglia di insegnare in casa d’altri è un male dei nostri tempi dal quale non pare immune chi si occupa del processo Aemilia.
 
Il più recente sconfinamento è della Camera Penale di Modena, che il 17 gennaio scorso ha dato notizia di avere costituito un “Osservatorio sulla informazione giudiziaria” formato da quattro avvocati. Essi hanno il mandato di “verificare le modalità con le quali vengono riportate dagli organi di stampa le notizie di cronaca giudiziaria e di politica giudiziaria che attengono al circondario del nostro tribunale”.
 
Sembra davvero un improbo compito, per la sua genericità e per l’assenza di criteri oggettivi di svolgimento e di valutazione dei risultati. E’ una verifica che coinvolge un insieme infinito di persone, procedure, contesti, stili, motivazioni, mezzi e testate giornalistiche, muovendo dalle sensibilità personali dei membri dell’Osservatorio, che saranno sempre legittime ma anche sempre opinabili.  Ammesso comunque che qualche conclusione in qualche tempo ragionevole i quattro avvocati riescano a tirarla e a renderla di dominio pubblico, cosa succederà dopo?
 
Ci sgrideranno?
 
A questa decisione della Camera modenese hanno replicato il 20 gennaio con un comunicato congiunto il segretario generale della FNSI Raffaele Lorusso e il presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti Carlo Verna, assieme ai rispettivi segretario e presidente regionali Serena Bersani e Giovanni Rossi. Essi esprimono “grande sconcerto e preoccupazione” per l’iniziativa modenese che si aggiunge ad un analogo Osservatorio già messo in piedi in precedenza dall’Unione delle Camere Penali a livello nazionale.
 
Le conclusioni di quell’Osservatorio, si legge nel comunicato reso pubblico dalla Camera di Modena il 17 gennaio, “hanno confermato quello che l’avvocatura aveva da tempo avvertito, e cioè un’informazione che spesso diventa strumento dell’accusa per ottenere consensi e così inevitabilmente condizionare l’opinione pubblica e di conseguenza il giudicante”.
 
Quindi, se capiamo bene l’italiano, le conclusioni dei penalisti, dopo una accurata ricerca effettuata leggendo ben 17 quotidiani per sei mesi di fila, sono che spesso i Pubblici Ministeri in combutta con i giornalisti costruiscono “processi mediatici” per condizionare l’opinione pubblica e spingere i Giudici a conclusioni sbagliate.
 
Non male come delegittimazione.
 
Qualcuno tra cittadini, giudici, giornalisti e procuratori della Repubblica correi nel presunto complotto potrebbe anche sentirsi un tantino offeso da una affermazione del genere, che spara fango in generale sulle categorie senza citare un solo fatto o nome o articolo circostanziato.
 
Ma non basta, perché dopo la replica dell’ordine dei Giornalisti e della Federazione della Stampa è arrivata la contro replica del presidente della Camera penale di Modena, avv. Guido Sola, che si rivolge direttamente ai cronisti:
 
“Cari giornalisti, leggiamo esterrefatti che Vostri rappresentanti nazionali e regionali sono insorti contro la nostra decisione di costituire l’Osservatorio.”
 
Lungi dall’attendere le conclusioni di questo Osservatorio appena nato, l’avvocato Sola declina già una propria sentenza sulle colpe del giornalismo giudiziario: “Vengono passate dalle procure e dalla polizia giudiziaria atti e notizie dell’indagine in violazione del segreto istruttorio; vengono diffusi filmati che riproducono scene del delitto spesso in modo non fedele; non si può negare che alcuni magistrati hanno costruito con i processi mediatici la loro carriera politica”. La conclusione torna ancora lì: “Non potete non condividere con noi che tutto questo può condizionare anche l’imparzialità del giudice”.
 
E invece possiamo sì, non condividere con voi. Possiamo non condivido proprio niente di questa tesi.
 
In quarant’anni di lavoro ho visto passare più carte dagli avvocati ai giornalisti che dai mazzieri ai giocatori sui tavoli del casinò. E allora?
 
Ci sono ex magistrati in Parlamento, certo. E di avvocati noo?
 
Che i giornalisti possano sbagliare o eccedere è ovvio, ma vogliamo sostenere che l’imparzialità dei giudici è compromessa dagli articoli dei giornali?
 
Valgano le parole pronunciate il 19 gennaio 2017 dal presidente del collegio giudicante del processo Aemilia, Francesco Maria Caruso, in risposta all’istanza presentata dall’imputato Sergio Bolognino, a nome di tutti i detenuti, che chiedeva il processo a porte chiuse e senza giornalisti, “che raccontano il processo in modo unilaterale, sposando le tesi dell’accusa senza mai dar voce alla difesa, influenzando in modo scorretto l’opinione pubblica e soprattutto i testimoni”.
 
Caruso rigettò l’istanza definendola “Inammissibile per carenza dei presupposti giuridici”, sottolineando il valore della libera manifestazione del pensieri tutelato dell’art. 21 della Costituzione, definito “Pietra angolare” della nostra Carta Fondamentale. E aggiunse una difesa orgogliosa delle garanzie di imparzialità e correttezza offerte a tutti i protagonisti della vicenda giudiziaria dall’aula del Tribunale e dal contraddittorio tra accusa e difesa. Se qualcuno adombra l’ipotesi che gli articoli di stampa possano condizionare i testimoni e addirittura i giudici, disse in sostanza, sappia che quest’aula è in grado di valutare l’attendibilità dei primi e di garantire l’imparzialità dei secondi. Anche qualora i testimoni venissero influenzati o condizionati da elementi ben più efficaci e preoccupanti di un articolo di giornale. Lasciando intendere che spesso sono la paura o le minacce a mettere il bavaglio ai testimoni in un processo di mafia, come vi è visto più di una volta pure in Aemilia.
 
Fortunatamente quel giorno, come nelle altre 140 udienze del processo, c’erano i giornalisti ad ascoltare per raccontare a tutti i cittadini la decisione dei giudici.
 
Ma per le Camere Penali il giornalismo giudiziario si riassume in un “processo mediatico” e per non far sentire gli altri soli si unisce al coro anche la Camera Penale di Reggio Emilia, che il 24 gennaio ha espresso attraverso il suo presidente avv. Nicola Tria piena solidarietà ai colleghi della Camera di Modena, condividendo “ogni parola e ogni virgola” del loro comunicato. In precedenza pure la Camera Penale di Bologna aveva fornito il proprio contributo, ospitando dal mese di novembre 2017 un articolo sul proprio sito ancora oggi leggibile. Lo firma l’avv. Pierpaolo Groppoli sul tema “Osservatorio processo penale e media”. Vi si legge tra l’altro: “Urge, come per i farmaci, un bugiardino (foglietto che si trova incastrato nelle confezioni per le avvertenze) per misurare la distanza tra processo penale e ciò che viene raccontato del processo penale dai mezzi di informazione”.
 
Ciò che viene raccontato è definito appunto “processo mediatico”, che “nulla ha a che vedere con il processo penale; va in scena fra una pubblicità e l’altra nei salotti e nelle cucine dei cittadini; è un chiacchiericcio che non finisce mai; ingurgita qualunque conoscenza che arrivi nel raggio di azione di un microfono o di una telecamera; tende ad includere alla rinfusa qualsiasi cosa tipo cinque minuti di un’intercettazione telefonica o le dichiarazioni del vicino di casa”. Per sentenziare: “Il processo mediatico è necessariamente inquisitorio, sbilanciato sulla versione dei fatti fornita dall’accusa”.
 
La stessa Camera Penale di Bologna il 24 luglio 2017 presentò un esposto all’Ordine dei Giornalisti di Bologna contro gli autori di alcuni articoli usciti sulla Gazzetta di Reggio e sul Resto del Carlino all’indomani di una udienza nella quale l’avvocato Stefano Vezzadini aveva testualmente detto ai giudici: “Lo vediamo tutti i giorni, i giornali anche di questo processo scrivono cose non vere. L’ultima l’hanno scritta ieri l’altro”.
 
Con una battuta si potrebbe commentare che “ieri l’altro” fa già un giorno su tre e non “tutti i giorni”. Ma l’avvocato non ha mai spiegato in aula chi avrebbe scritto cose non vere e quali siano queste cose”. Non ce n’è alcun accenno neppure nell’esposto della Camera Penale di Bologna, che l’Ordine dei Giornalisti ha archiviato ritenendolo privo dei fondamenti necessari per aprire un procedimento disciplinare.
 
C’è una sottile differenza tra il predicare bene e il razzolare male nella quale prima o poi tutti noi inciampiamo. L’impressione è che le Camere Penali ci caschino sulle ragioni dell’Osservatorio e sul concetto di “censura”.
 
La Camera di Modena sostiene nel comunicato del 17 gennaio che comunque “l’informazione deve essere libera e senza alcuna censura”.
 
Bontà sua.
 
La Camera di Bologna concludeva invece l’esposto all’Ordine dei giornalisti dicendo: “Il consiglio direttivo della Camera Penale censura il tenore e il contenuto degli articoli richiamati nel presente comunicato”.
 
Cattiveria sua.
 
La graduatoria di Reporters Without Borders del 2017, sulla libertà d’informazione nei paesi del mondo, vede cinque paesi europei ai primi cinque posti e otto complessivamente nei primi dieci. L’Italia invece è al 52esimo posto, messa molto peggio del Burkina Faso e del Suriname, e appena davanti alla nazione più povera del globo: Haiti. Quando i colleghi dell’RWB che stilano la classifica sapranno dei quattro avvocati Sivelli, Ricco, Rossi e Caricati che da oggi controllano il lavoro dei giornalisti per conto della Camera Penale di Modena, state certi che Haiti ci sorpasserà immediatamente.
 
(da ‘I difensori all’attacco‘ – Cgil Reggio Emilia)
 
 
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La Cgil di Reggio ha scelto una forma intelligente per seguire il processo Aemilia affidando a uno dei giornalisti più esperti della realtà locale, che è anche autore consolidato di opere di narrativa, lo sviluppo del dibattimento che va svolgendosi in questi mesi a Reggio Emilia. 24Emilia e io personalmente siamo particolarmente grati a Paolo e alla Cgil per averci concesso l’utilizzo dei suoi testi, anche nella consapevolezza che ciò possa contribuire a rendere più capillare la diffusione delle vicende legate alla penetrazione della ‘ndrangheta nella nostra provincia e a far sì che da una maggiore consapevolezza possano scaturire gli anticorpi affinché questi germi di malaffare possano essere definitivamente estirpati dal territorio emiliano. (n.f.)