Governo del presidente

Credo che il presidente Mattarella stia svolgendo un’azione lineare, quasi geometrica nell’affrontare ciascuna delle (poche) possibilità di trovare in Parlamento una maggioranza politicamente omogenea in grado di sostenere un governo a mandato pieno.
 
Il mandato esplorativo affidato a Roberto Fico va letto a mio avviso solo in questa chiave: per usare una locuzione in voga nelle tragiche giornate di quarant’anni fa, l’obiettivo è "non lasciare nulla di intentato". Va da sé che una maggioranza che escluda la coalizione di centrodestra, per quanto litigiosa e rabberciata, non abbia né numeri solidi né soprattutto sostenibilità politica. Il prevedibile trionfo di Salvini in Friuli, domenica prossima, ne darà ulterioretestimonianza.
 
La sola strada ragionevolmente possibile per evitare un repentino scioglimento delle Camere è il cosiddetto "governo del presidente", sul quale Mattarella si indirizzerà non appena constatata l’assenza di soluzioni politiche.
 
A quel punto si aprirà un’altra fase della partita, dove inevitabilmente dovranno convivere tatticismi e doveri istituzionali, volontà di autoconservazione del Parlamento appena eletto e necessità di dare risposte al paese (e all’Europa) in attesa.
 
Salvini e Di Maio, i vincitori del 4 marzo, saranno chiamati a giocare una mano cruciale per le rispettive leadership: gli elettori di entrambi esigono prove di cambiamento rapide ed efficaci, o almeno una realistica prova di volontà. Non sarà facile questa volta, qualora il capo dello Stato sia obbligato a cercare una soluzione terza, chiamarsene fuori per poi addossare le colpe di eventuali malgoverni al Quirinale. Il tempo delle promesse è quasi scaduto e Mattarella è
esperto a sufficienza per non rendersene conto.