Davos, Trump e la globalizzazione

Tutti i grandi media economici sono lì a monitorare ogni suo movimento, ogni sua parola. A Davos Trump farà veramente il primo discorso “no global” della storia moderna americana?

Alcune premesse doverose. Gli amici mi scrivono o mi dicono: “Sei Trumpiano, ma sei matto?“, oppure “Come fa a piacerti quello stupido?”, o ancora “Trump è un ignorante, non è roba da intellettuali”, e via così.

Né pro né contro: osservo, tenendo conto degli interessi degli italiani. Novella 2000 non mi interessa: come un calciatore va osservato in campo per i goal che fa e non per le amanti che gli attribuiscono, ancora di più bisogna fare con i politici. Quando i grandi media invece di descrivere e anche criticare l’azione politica parlano invece solo di gossip, alla fine a essere screditati sono i giornali stessi.

Vi ricordate Clinton e la stagista? Oppure Regan che prima di diventare presidente aveva governato la California per due mandati, ma i nostri media etichettavano sempre come un ex attore? Entrambi hanno governato il paese più importante del mondo per due mandati.

Nessuna alternativa all’austerità? I media nostrani (Sole24Ore, Corriere, Repubblica, Rai etc…) ci forniscono sistematicamente informazioni distorte. Il motivo è semplice: devono spaventare gli italiani e imporre la visione che non c’è alcuna alternativa all’economia dell’austerità, nessuna alternativa a questa Europa a guida tedesca, nessuna alternativa alla “cinesinazione” dell’economia (leggasi: trasferimento in Asia di tutto ciò che produciamo).

Quindi l’Inghilterrà fallirà, anche se la disoccupazione oggi è al 4,8%, molto più bassa di quella prima della crisi del 2007-2008; quindi la riforma fiscale degli Stati Uniti porterà a un debito Usa insostenibile; quindi Putin è un antidemocratico e un dittatore e dobbiamo mantenere le sanzioni alla Russia anche se fanno più male all’Italia.

Vediamo i fatti:

  • la più grande riforma fiscale degli ultimi 30 anni è stata approvata ed è già entrata in vigore. È la prima riforma fiscale Usa che inverte il mito della globalizzazione. L’obiettivo principale è il rientro di grandi produzioni negli Stati Uniti. Le aziende fanno a gara per annunciare nuovi piani di investimento con più assunzioni e bonus supplementari ai dipendenti, come ad esempio ha già fatto Fca, ma soprattutto WalMart (la più grande catena di supermercati statunitensi). Apple ha annunciato un piano faraonico, con rientro di capitali e investimenti per 350 miliardi e pagamento di tasse per 38 miliardi per il rientro dei capitali;
  • gli Stati Uniti denunciano, sospendono o rimettono in ridiscussione molti trattati internazionali di libero scambio. Anche qui la politica è chiara: gli Usa dal 1970 sono gi importatori netti del mondo, a forza di delocalizzare la Cina è diventata il più grande paese produttore. Gli Usa vogliono rinegoziare clausole che ritengono a loro sfavorevoli. Questo avrà un grande impatto sull’Europa, perché la Germania vive dell’export verso gli Stati Uniti;
  • in politica estera, nonostante tutti i tentativi interni per screditare Trump e tenere alto il conflitto con la Russia, i rapporti tra i due Stati sono migliorati e un primo effetto è evidente: la guerra in Siria è finita (se qualcuno pensa che la fine dell’Isis non c’entri nulla con gli Usa è un pollo). Basti ricordare che in quei paesi non si producono armi, quindi bisogna fargliele arrivare. Sarà un caso che dopo la visita di Trump all’Arabia Saudita l’Isis sia entrata in crisi?
  • Lunghissimo viaggio di Trump in Asia (Giappone, Corea e Cina). Sicuramente c’è la volontà del nuovo presidente di ridimensionare l’export cinese verso gli Usa. Qui siamo ancora agli inizi, per gli Stati Uniti è la sfida più importante per il futuro. Qui si accavallano le questioni della pace (la Corea del Nord è un satellite della Cina) con quelle economiche, ma anche e soprattutto militari e strategiche. Qui tutto è sul tavolo. La questione asiatica è però emblematica del declino dell’Europa, che non è più centrale per l’America e nemmeno per la politica del mondo.

Infine la comunicazione di Trump: sono vere gaffe o c’è una strategia? È veramente un ignorante capitato lì per un caso della storia o è la fine del politically correct intellettualoide che ha stancato l’americano medio?

Trump con questo stile comunicativo diretto, duro e spesso ignorante ha sbaragliato prima i suoi competitor alle primarie e poi ha distrutto la Clinton. Crediamo veramente che un professionista delle trasmissioni televisive, un miliardario che ha uno staff enorme per la comunicazione al suo servizio, sia così sprovveduto? Oppure ha scelto con cura a quale parte degli Stati Uniti far arrivare il suo messaggio diretto, bypassando i media che gli sono tutti contro?

L’eccezionalità di Trump è stata quella di vincere pur avendo tutti i media e Hollywood che sistematicamente lo denigravano. Può uno stupido ottenere un risultato così?

Tutto questo deve far ragionare anche noi italiani ed europei: in questi anni i grandi media hanno sempre demonizzato tutto ciò che si collocava fuori dalla super politically correct Unione Europea e soprattutto ci hanno dato una visione distorta. Vi ricordate la Brexit (era impossibile)? E la Catalogna indipendente (quattro idioti che fanno un’elezione fasulla), poi rifanno le elezioni e gli indipendentisti vincono? E quei populisti che vogliono meno immigrati clandestini? Poi in Austria Ungheria e Polonia quei populisti stravincono.

Quando il politically correct serve per mettere i problemi veri sotto al tappeto, poi è la politica inconcludente che alla fine ne fa le spese.

E ora tutti i media si domandano: cosà dirà Trump a Davos? Tutti lì a pendere dalle sue labbra? Io cerco di capire dove va questo mondo! La politica economica degli Usa ha un’immensa importanza per tutti noi, per le imprese e per ciascun singolo cittadino; soprattutto per noi emiliani, che viviamo di export.

Prima di tutto cerchiamo di capire: mai tifare, ancor meno seguire i media che scimmiottano Novella 2000. Questo è il modo per osservare Davos e suoi riti.