Alleluia!

Dopo 88 giorni di passione l’Italia ha di nuovo un governo nel pieno delle sue funzioni. A prescindere da come la si pensi in merito, leviamo pure un "alleluia!" al cielo.

 
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Il presidente Mattarella ha ricevuto critiche da più parti – e addirittura una sconsiderata minaccia di impeachment da leader grillini e da Giorgia Meloni – per la gestione della crisi. Si dimentica che la presidenza della Repubblica è il simbolo dell’unità nazionale, e che come tale – a maggior ragione in una democrazia giovane e non solidissima quale è quella in cui viviamo – va considerata patrimonio di tutti e tenuta al di fuori della contesa politica.

 
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In quasi tre mesi tutti gli italiani si sono improvvisamente ritrovati a parlare di politica e a discettare di Costituzione manco si trattasse della Nazionale di calcio. Bombardate da tv, social e media tradizionali, milioni di persone hanno ripreso contatto con temi di natura prettamente istituzionale sui quali si è scoperto latitare, persino nelle istituzioni stesse e in alcuni rappresentanti delle medesime, un adeguato margine di conoscenza e di consapevolezza.
 
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Secondo Carlo Freccero, guru della tv oggi forse meno brillante di un tempo, si è trattato di una grande operazione pedagogica. Ora molti più italiani di prima comprendono le dinamiche fissate in Costituzione a proposito del ruolo del capo dello Stato, del Parlamento, delle procedure necessarie per la formazione del governo e via dicendo. Sarà. Di certo, la sovraesposizione del racconto della politica rispetto ai tempi del maggioritario e prima ancora della Prima Repubblica restituisce il senso di una precarietà di sistema pocorassicurante. Le ultime, drammatiche giornate di trattativa che hanno fatto seguito alla fiammata dei mercati sui nostri onerosi conti pubblici hanno prodotto effetti paradossali. A un certo punto ci siamo trovati con tre governi più o meno in vita: l’uscente Gentiloni, il congelato Cottarelli e il riesumato Conte. Il caos è stato notevole.

 
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Comunque oggi un governo c’è. Osservato dalle nostre latitudini, si nota la completa assenza di ministri provenienti dall’Emilia-Romagna.
Era dai tempi del lontanissimo governo De Mita (1988-’89) che non accadeva. Segno dei tempi? Certamente sì.

 
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Il MoVimento 5Stelle ha voluto la creazione di un ministero per il Sud, che ai più anziani tra di noi ha subito richiamato alla memoria quel pozzo di San Patrizio denominato Cassa per il Mezzogiorno con cui la Democrazia cristiana tentò di esportare nel Meridione le buone pratiche imprenditoriali del fratelli nordici. Non avvenne niente di tutto ciò. La condizione disastrosa del Mezzogiorno italiano chiama alla responsabilità la storia, la politica, il senso civico, la capacità dello Stato di essere riconosciuto come tale. I 5Stelle hanno voluto restituire alle masse di elettori meridionali che a loro si sono affidati un segno di attenzione che rischia di risultare più simbolico che concreto. Ma si dia tempo al tempo e torniamo all’Emilia.

 
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Culla del centrosinistra, granaio di voti un tempo socialcomunisti poi democratici e comunque di sinistra più o meno riformista, questa Regione è stata capace di rispondere a batoste gigantesche (le due crisi finanziarie del 2008 e del 2011 e il terremoto del 2012) con eccezionale spirito di ripartenza. L’Emilia-Romagna è ai vertici dell’export italiano, ha recuperato sull’occupazione quasi a livelli pre-crisi, ha saputo rispondere ai problemi sociali attivando risorse economiche e capitale umano – leggasi welfare famigliare, anzitutto – pur di non lasciarsi trascinare verso il gorgo della depressione nel quale si divincolano a fatica altre aree un tempo ricche o quasi del paese.
 
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Qualche ministro o zero cosa volete che contino, si sente dire in giro. Eppure non è così. La politica e il governo non sono entità astratte. L’invocazione del rapporto con il territorio non è solo ritrita propaganda elettoralistica. Le relazioni non sono importanti, bensì importantissime.
 
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Non vi è dubbio che sia Lega sia 5Stelle puntino a sigillare il limes delle rispettive frontiere di sovranità interna proprio sulla linea gotica, o comunque al di sotto delle sponde del Po. Il prossimo anno si vota per la Regione (vince chi prende un voto più dell’altro) e per una miriade di Comuni, tra i quali città assai importanti. Modena e Reggio sono le roccaforti che più volentieri grillini e leghisti vorrebbero espugnare.
 
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Nel maggio 2019 si voterà anche per le Europee. In caso probabile di election day, la radicalizzazione del voto su Euro e Unione Europea potrebbe sovrastare le tematiche locali, dove si sfideranno i candidati sindaci. A Reggio, la candidatura di Luca Vecchi al secondo mandato sembra scontata e il sindaco – pur senza ancora averla formalizzata – non fa nulla per nasconderlo.

 
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Giammaria Manghi, a capo della Provincia in anni complicati, è ufficiosamente il candidato a sostituire Andrea Rossi nella giunta regionale guidata da Stefano Bonaccini. Sul suo nome non ci sono opposizioni, salvo la necessità di affidargli la titolarità di un assessorato pieno anziché il sottosegretariato alla presidenza svolto da Rossi (oggi alla Camera). La nomina dovrebbe maturare entro pochi giorni, poiché siamo già a giugno. Le trattative tra Bologna e Reggio sono in corso.

 
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Prima di ufficializzare la ricandidatura, Vecchi vorrebbe dal Pd reggiano qualche garanzia. La prima, comprensibile: di non remargli contro in base alle logiche correntizie mai sopite nonostante le stangate elettorali. La seconda: un gesto di generosità che dovrebbe configurarsi in una coalizione aperta – ossia, liste civiche tematiche o addirittura di zona – onde puntare all’elezione al primo turno tenendo insieme, oltre alla sinistra ex radicale che vorrà essere disponibile, pezzi di città che magari apprezzano il sindaco e la giunta ma hanno perso la voglia di votare il Pd.

 
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Possibile? Intanto, per chiarire il quadro, l’assessore in quota LeU Mirko Tutino ha già fatto sapere che tra un anno lascerà l’impegno amministrativo per dedicarsi alla professione. E in ciò che rimane del Pd inteso come base – dimagrita finché si vuole, ma viva e disposta a impegnarsi soprattutto contro un governo nazionale di destra – ciò che avverrà nei prossimi mesi dovrà fare i conti con le pulsioni unitarie, da Cln o da Fronte Repubblicano che dir si voglia, piuttosto che in una logica da briglia sciolta per salvare il salvabile laddove possibile.

 
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Il migliore alleato di Vecchi – va detto, e ci si perdoni – rimane tuttavia l’opposizione.
 
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Se solo 5Stelle e Lega si muovessero per tempo, preparassero una bella lottizzazione col manuale Cencelli in mano e individuassero un candidato o una candidata a sindaco da costruire e far conoscere alla città sin da oggi, senza attendere l’ultimo momento utile, per Vecchi e alleati si metterebbe davvero male.
 
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Tuttavia, la politica presuppone doti di strategia, di tattica, di competenza – e naturalmente di fortuna. Lega e 5Stelle reggiani, sinora, hanno dato dimostrazione di saper padroneggiare soprattutto quest’ultima.