Aemilia. Brescia in aula: “Il sindaco mi definì boss, e io gli scrissi”

Pasquale Brescia, imputato al processo Aemilia contro le infiltrazioni della ‘ndrangheta in regione, è tornato sull’argomento della lettera al sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi. nella La missiva fu fatta recapitare dal suo avvocato dell’epoca Antonio Comberiati alla redazione del Carlino Reggio.

 
"Mi sono sentito attaccato personalmente dal sindaco, che mi aveva definito come un boss", queste le parole di Pasquale Brescia per giustificare le parole scritte nel 2016 quando dal carcere di Bologna esortò il primo cittadino reggiano a dimettersi tirando in ballo le parentele della moglie di Vecchi Maria Sergio.
 
Per questa vicenda Pasquale Brescia è stato denunciato dal primo cittadino Luca Vecchi per minacce, caso per cui l’imprenditore edile cutrese, imputato per associazione di stampo mafioso in Aemilia, è stato assolto in primo grado nel processo collaterale Aemilia bis, con sentenza impugnata dalla Direzione distrettuale antimafia e ora in attesa di essere discussa in appello. Un fatto però finito anche nella sfilza di nuovi capi di imputazione contestati dal Pm Beatrice Ronchi, sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Antonio Valerio e Salvatore Muto, a 34 imputati.
 
In aula Brescia ha precisato che la lettera è "stata scritta tra il 28 e il 29 gennaio e non era stata condivisa con nessuno degli altri imputati perche’ ero io il soggetto attaccato. Era farina del mio sacco". Si trattava della risposta, aggiunge l’imputato, a due interventi del sindaco apparsi sulla stampa il 24 e il 26 gennaio, che rivendicavano la confisca da parte del Comune del maneggio abusivo di Brescia nella frazione di Cella. Nulla a che vedere, dunque, con la strategia "volta a minacciare larvatamente figure istituzionali o imprenditoriali per riscuotere vantaggi dopo l’inatteso indebolimento della cosca derivante dagli arresti dell’operazione Aemilia", come ipotizzato dall’accusa.