A lezione dagli imputati

25 imputati su 34 del processo Aemilia, accusati di associazione di stampo mafioso nel dibattimento in corso a Reggio Emilia, hanno scelto di passare al rito abbreviato. Era una possibilità loro concessa dalle procedure penali, in seguito alla modifica dei capi di imputazione decisa recentemente dalla procura antimafia, e tutti i personaggi di maggior spicco ne hanno approfittato. Per altri otto continua il rito ordinario mentre resta uccel di bosco la sola donna di questa parte del processo a cui è contestata l’appartenenza alla ‘ndrangheta: Karima Baachaoui, latitante dalla notte degli arresti del gennaio 2015.
 
La scelta degli imputati, annunciata dai legali e confermata a voce da ciascuno di loro, è arrivata nell’udienza di martedì 13 marzo, con solo alcune riserve di acquisizione di ulteriori documenti o testimonianze che il collegio dei giudici ha ridotto al minimo.
 
Verranno giudicati secondo l’abbreviato, che consente lo sconto di un terzo della pena inflitta, il presunto capo cosca Michele Bolognino (gli altri cinque sono già stati condannati a Bologna); i due collaboratori di giustizia Antonio Valerio e Salvatore Muto; i volti noti a Reggio Emilia di Pasquale Brescia, Alfonso Paolini, Giuseppe e Palmo Vertinelli. Poi i due esponenti della cosca che secondo i PM hanno preso le redini del sodalizio dentro e fuori del carcere al posto dei vecchi capi finiti in isolamento: Gianluigi Sarcone e Luigi Muto. Ed anche gli uomini più attivi in galera negli ultimi due anni: Gaetano Blasco, Gianni e Antonio Floro Vito, Sergio Bolognino, Antonio Muto (classe ’55) e l’omonimo più giovane di 23 anni. Per finire con Eugenio Sergio, Pasquale Riillo, il terzo Antonio Muto (classe ’71), Maurizio Cavedo, Luigi Silipo, Vincenzo Mancuso, Pierino Vetere, Carmine Arena, Graziano Schirone e Mario Vulcano.
 
Per tutti loro “l’adesione alle regole e alla strategia del sodalizio ‘ndranghetistico di appartenenza”, recita il nuovo capo di imputazione, è confermata anche dopo essere finiti agli arresti ed è contestata fino alla data dell’8 febbraio 2018.
 
Gli altri nove incriminati in base all’art. 416 bis del codice penale, che non cambiano rito e per i quali procede il dibattimento ordinario assieme agli altri 115 imputati di Reggio Emilia, sono: Moncef Baachaoui, Carmine Belfiore, Francesco Lomonaco, Antonio Crivaro, Alfredo e Francesco Amato, Gabriele Valerioti, e per finire Giuseppe Iaquinta, padre del calciatore Vincenzo, per il quale ha parlato l’avvocato Carlo Taormina dicendo semplicemente: “Nulla da dichiarare”. Il che significa continuare come prima.
 
Cosa succederà ora?
 
Come abbiamo scritto i due processi procederanno paralleli nella stessa aula bunker del tribunale di Reggio Emilia. Martedì 20 e giovedì 22 marzo ripresa delle udienze per il solo rito ordinario, con ascolto degli ultimi testimoni ammessi e dichiarazioni spontanee degli imputati. Martedì 27 inizio del rito abbreviato alle 9,30, davanti allo stesso collegio giudicante, con il deposito del fascicolo d’indagine del pubblico ministero che sarà l’unico materiale ammesso sul quale sviluppare le richieste delle parti e la sentenza. A seguire, alle 11,30, rito ordinario per gli altri imputati (o per gli stessi imputati che rispondono in abbreviato del 416bis e in ordinario di altri capi d’accusa). In questa seconda parte esce di scena il fascicolo processuale del PM ed entra la storia di questi due anni di processo con esami, testimonianze, prove, controprove, ecc.
 
Insomma: un po’ di complicazioni per gli esperti della materia (giudici, accusa e difese) che sanno comunque come governarle, un grande bailamme per gli altri, in particolare giornalisti, pubblico (sempre meno presente) e famigliari degli imputati, che ancora non sanno se e quando potranno essere presenti in aula. Il presidente del collegio Francesco Maria Caruso ha detto chiaro nell’ultima udienza: noi convocheremo sempre tutti e si continuerà come prima il martedì e il giovedì. Poi il collegio deciderà seduta stante quanto tempo dedicare all’ordinario e quanto all’abbreviato, e si valuterà il 27 marzo il tema del processo “a porte aperte”. Quando un avvocato difensore ha posto il tema, ricordando che il rito abbreviato in Camera di Consiglio avviene di norma a porte chiuse, mi è parso di vedere uno dei giudici fare un simpatico gesto a mani giunte, come per dire (mia personale interpretazione): ormai qui ci conosciamo tutti, non stiamo a complicarci la vita mandando fuori e dentro le gente. Ma basterà una richiesta di porte chiuse perché i non ammessi debbano uscire.
 
In attesa di vedere e capire, la vera novità del giorno è stata la sorpresa di leggere, sul sito della Camera Penale di Modena, l’annuncio di un seminario di approfondimento che si terrà venerdì prossimo 16 marzo presso la Camera di Commercio nella città della Ghirlandina.
 
Il titolo è “Criminalità organizzata e terrorismo”, e gli avvocati che parteciperanno riceveranno tre crediti formativi in “etica”, ai sensi del regolamento sulla formazione continua. A parlare saranno due esperti della materia. Il primo è il generale Mario Mori, ex comandante del Ros dei Carabinieri ed ex direttore del Sisde; il secondo è il colonnello Giuseppe De Donno, anch’egli ex carabiniere dei Reparti Speciali.
 
Peccato che entrambi siano anche imputati al processo “Stato-mafia” di Palermo e che dopo quattro anni e otto mesi di udienze il pubblico ministero Vittorio Teresi abbia chiesto una condanna a 15 anni per Mori e a 12 per De Donno.
 
La requisitoria dell’accusa è fresca, del gennaio scorso: “Sono colpevoli e vanno condannati”, ha detto Teresi, per aver dialogato, o peggio trattato, con la mafia “mentre esplodevano le bombe tra la Sicilia e il continente”. Il riferimento è agli anni bui delle morti di Falcone e Borsellino, delle stragi di Capaci e via D’Amelio, e ai successivi presunti contatti per cercare da un lato di fermare la violenza mafiosa e dall’altro di portare benefici e favori alle cosce.
 
12 anni di carcere sono stati chiesti anche per il generale Antonio Subranni e per Marcello dell’Utri, co-fondatore di Forza Italia con Silvio Berlusconi. Per l’ex ministro Nicola Mancino, accusato di aver detto il falso, la richiesta è di 6 anni.
 
L’iniziativa con Mori e De Donno a Modena è promossa dalla Camera Penale della città ed è rimbalzata la mattina di martedì 13 marzo nell’aula bunker del processo Aemilia dove è ancora calda la polemica sull’Osservatorio, istituito dalla stessa Camera Penale, per controllare il lavoro dei giornalisti che seguono le udienze.
 
E’ un gruppo di quattro avvocati, lo ricordiamo, coordinati dall’avv. Alessando Sivelli, che ha il compito di “verificare le modalità con le quali vengono riportate dagli organi di stampa le notizie di cronaca giudiziaria”. Partendo dal presupposto che “l’informazione spesso diventa strumento dell’accusa per ottenere consensi e così inevitabilmente condizionare l’opinione pubblica”. Iniziativa “sconcertante e di grande preoccupazione”, commentarono allora il presidente dell’ordine dei Giornalisti Carlo Verna e il segretario della FNSI Raffaele Lo Russo.
 
Di ancor più sconcertante c’è oggi l’idea che a parlare di criminalità organizzata e terrorismo (nel titolo non si usa, prudentemente, la parola mafia) possano venire due imputati eccellenti del processo sulle più alte e segrete collusioni tra apparti dello Stato e Cosa Nostra, che sta cercando nel silenzio generale di fare luce sulla stagione di morte degli anni Novanta.
 
Due imputati il cui curricolo giudiziario è sufficientemente lungo da consigliare cautela. Il generale Mori ha già dovuto rispondere due volte in tribunale all’accusa di favoreggiamento nei confronti di Cosa Nostra e per avere favorito la latitanza di Bernardo Provenzano impedendone la cattura. E’ stato assolto in entrambi i casi. Al processo Stato-mafia è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e violenza o minaccia a corpo politico dello Stato. De Donno è accusato in particolare di avere contattato Massimo Ciancimino per stabilire un contatto con il padre Vito, sindaco mafioso di Palermo, al fine di aprire un dialogo tra le due parti in guerra e fermare la strategia stragista di Totò Riina. Dopo aver lasciato i Carabinieri ha lavorato nel settore della sicurezza privata per Roberto Formigoni in Lombardia, entrando nel Comitato per la trasparenza delle procedure legate all’Expo. E’ finito indagato perché con questo incarico, secondo i PM, avrebbe messo in piedi una truffa causando un danno di oltre mezzo milione di euro alla pubblica amministrazione.
 
Basterebbero questi elementi a sollevare qualche interrogativo ma l’Unione degli avvocati penalisti di Modena non ha dubbi e ripropone il format già sbarcato in Sicilia il 17 gennaio scorso. Allora fu il presidente dell’Assemblea siciliana Gianfranco Miccichè ad accogliere con tutti gli onori Mario Mori e Giuseppe De Donno a palazzo dei Normanni, per la proiezione del film di Ambrogio Crespi “Generale Mori: un’Italia a testa alta”.
 
Unico commento politico fuori dal coro, per quella iniziativa, fu del capogruppo parlamentare dei 5 Stelle Giancarlo Cancelleri che disse: “E’ una vergogna. Qui siamo all’assoluzione preventiva”.
 
Cancelleri ebbe il buon senso di dirlo prima delle richieste di condanna dei pubblici ministeri al processo Stato-mafia, ma oggi a Modena quelle richieste sono ben note e a maggior ragione sarebbe doveroso interrogarsi sull’opportunità di chiamare a parlare di mafie, in un seminario che nel sottotitolo recita “tra prevenzione, repressione e diritti di libertà”, chi porta sulle spalle una ipotesi di condanna così pesante. In attesa di sapere se i due ex alti ufficiali del ROS sono eroi, come sentenziava Vittorio Sgarbi a Palermo, o criminali legati alla mafia, come sostiene l’accusa del processo nello stesso capoluogo siciliano.
 
A moderare l’incontro di Modena, si legge nella presentazione del seminario, sarà l’avvocato Giulia Merlo, giornalista presso la testata “Il dubbio”. Speriamo che almeno lei nella introduzione proponga ai seminaristi il “legittimo dubbio” che per “diritti di libertà” non si intenda libertà di delinquere.


 
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La Cgil di Reggio ha scelto una forma intelligente per seguire il processo Aemilia affidando a uno dei giornalisti più esperti della realtà locale, che è anche autore consolidato di opere di narrativa, lo sviluppo del dibattimento che va svolgendosi in questi mesi a Reggio Emilia. 24Emilia e io personalmente siamo particolarmente grati a Paolo e alla Cgil per averci concesso l’utilizzo dei suoi testi, anche nella consapevolezza che ciò possa contribuire a rendere più capillare la diffusione delle vicende legate alla penetrazione della ‘ndrangheta nella nostra provincia e a far sì che da una maggiore consapevolezza possano scaturire gli anticorpi affinché questi germi di malaffare possano essere definitivamente estirpati dal territorio emiliano. (n.f.)